Enodas

.


  Era una nuvola di polvere in avvicinamento. Rapido, come la forza delle maree, tanto che una vendetta in lontananza ne sarebbe potuta rimanere fatalmente colta di sorpresa. Sempre più velocemente, ne emergeva, chinato sul cavallo lanciato a folle velocità. Non c’era meta, non c’era inseguitore, se non forse l’ombra di se stesso, anch’esse inghiottite in quella scia di polvere che lo accompagnava. Guardò dietro di se, come a sperare che lo avesse lasciato, e subito guardo al suo fianco, su quell precipizio che terminava tra scogli ed onde infrante. Immaginò soltanto il rumore di quel moto perpetuo, così come era adesso sovrastato dal fragore degli zoccoli, il rumore dei sassi che spezzati si sollevavano da terra e precipitavano nel baratro, finance dai battiti del suo cuore che pulsava senza controllo sotto la cotta di maglia. Non c’era una meta. Soltanto, una linea di costa che ripiegava fino a scomparire all’orizzonte. Il destriero virò, naturalmente, come volesse discostarsi da quella linea incomprensibile al confine di due mondi. Ma lui non glielo permise: con un colpo di reni raddrizzò le redini ed incitò il cavallo a proseguire sfidando le folate di vento che pericolosamente lo spingevano ad oltrepassare quell confine. Solo allora sentì l’amarezza che lo attanagliava sciogliersi sotto la forza del vento, il ruggito del mare, un urlo soffocato dentro la visiera. Sgranò gli occhi, che spiritati buntavano dinanzi a lui, laddove la linea curvava bruscamente ed il vuoto, improvviso si spalancava dietro di essa. Senza una meta. Spronò ancora il cavallo. Che, in un estremo disperato atto di ribellione, si oppose. Rimase la polvere, sospesa. Ed il suo cuore batteva all’unisono con gli spasmi di fatica del suo animale, che fedelmente lo aveva salvato. Tornò a sentire il rumore del mare, sotto di lui. Nient’altro. Pianse silenziosamente. Quindi, strinse l’oggetto che pendeva al suo collo, lo strappò con un gesto netto e gentile, e lo lasciò scivolare nel baratro sotto di lui.