Enodas

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 “…per udire soltanto il vento ed il mare…” Questa é la prima immagine che ho impresso negli occhi. Dall’altura di una collina, con i fili d’erba che ondeggiavano piegati dal vento, potevo osservare lontano, e ritrovare nel cuore, prima ancora che nella mente, quelle immagini che avevo lasciato depositare su me stesso. Ho ritrovato quel paesaggio, con il mare così lontano, ritratto fino quasi a scomparire da una forza invisibile e stupefacente, lasciando le chiglie delle barche depositarsi su ciò che restava, una spiaggia umida ed insidiosa, fatta di silenzi e di infinito. Ho ritrovato, aguzzando la vista, il profilo ombrato di un monte proteso in quel mare scomparso: appariva quasi un miraggio, un luogo fantastico che si ergeva sul profilo di una natura così lontana dalla mia realtà, e che soltanto scrutando attentamente negli ingrandimenti di una foto ricompariva magicamente. Ed ho sentito di nuovo la forza del vento, mentre muoveva le nubi di un cielo in guerra con se stesso, dipingeva tonalità d’azzurro sul mare, che mi scuoteva, così minuto sul profilo di questo promontorio ed a forza narrava la storia dei prossimi giorni. 
 “Mentre il cuore ha dei desideri, l’immaginazione conserva illusioni” Sto seguendo una linea tracciata dal vento. Tortuosa, elegante, flebile eppure senza fine, conduce a mura possenti ed irresistibili ad ogni assalto. Si muove, spazzata dal vento, su una tavola che, ancora una volta, diventerà presto possesso del mare. Suona una danza, che in qualche modo io continuo ad associare a queste linee e a questi passi che mi sembrano sospesi nel vuoto, in una mattina dalle nubi folte, isole nascoste che si scoprono alla vista armi di difesa letali e quel profilo di città, verso cui sono diretto. 
 Dietro quelle mura possenti, sorge la città dei corsari. Conosciuta così, quando la pirateria era un atto di Guerra fredda tra potenze del mare che si fronteggiavano bramose attraverso un braccio di mare. E questo nome già la ricopre di un’aura di leggenda, rende le note di danza ancora più forte, e le sue mura imprendibili ancora più possenti. Le ho conquistate, in qualche modo, solcandole passo dopo passo, prima di scendere giù, nel cuore della città, dove pirati erano mercanti e le loro case sfarzi raggianti, e dove per le vie le luci ed i rumori echeggiano, tra passato e presente, dalle locande, dai negozi, e dalla gente che si affaccia verso la spiaggia, ora rigurgitata dal mare. 
 “Tutti i miei giorni sono degli addii… si muore ad ogni momento per un tempo, una cosa, una persona che non si rivedrà più…” Ho iniziato a cavalcare i promontori. Punti quasi irraggiungibili che si protendono nell’azzurro opaco di una mappa. Un nome che scivolerà via, come il vento che lo porta. Mi piace arrivare verso sera, quando la luce inizia ad essere più calda e più dolce, ed ogni luogo ha un po’ il fascino di una fine del mondo. E non potrei immaginare altrimenti, proteso su un cammino che mi guida sullo strapiombo, esaltato dai rigurgiti delle onde, ed una vista, guardando di fronte, di una linea che non conosce confine. Ho iniziato a raccoglierli, questi luoghi di tutto e di nulla, perlustrando sentieri che andavano sempre un po’ più in là, dietro una protuberanza, uno scoglio o un’insenatura, assaporando il colore ed il sapore di distese di fiori che resistevano alla prova crudele del vento, ed orientandomi col profilo di un faro che come un’imbarcazione in balia di se stessa, si ancorava alla sua vista. Li ho attesi, cercati, ogni giorno, aspettando le ore più belle, cantando poesie ed imprimendoli sulla mia pelle. 
 Non so come un cavallo potesse scendere lungo questa strada. Se scivolava, quasi, procedendo in sicurezza, o se si lanciava al galoppo. Di sicuro, sfiorava i graticci delle case, i gradini delle porte, sfiorava magari qualche fiore che si sporgeva dal muro. E’ una giornata di sole caldo, ed i colori scintillano dei suoi riflessi. Mi sento catapultato in questa Era di Mezzo, nelle sue immagini più fiabesche, come da fiaba appaiono le strade di queste città, i profili di un castello, la calma colorata e vivace che le attraversa. Come se il tempo, attraversandole, potesse rallentare, come se io potessi procedure con una calma ed una leggerezza che purtroppo si dimentica in fretta. Allora, io penso al cavallo, immagine buffa di un piccolo problema pratico, il cui zoccolare potrebbe benissimo nascondersi tra i rumori della gente, il suono di una fisarmonica meccanica, il richiamo del pane caldo appena sfornato. Tutti, mi regalano un tocco di leggerezza.