Enodas

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  Ho avvertito quest'eccitazione appena sceso a terra. Nel buio della notte era tutta un'unica distesa di neve, che scompariva nell'ombra appena si eauriva la luce dell'aereo. Nevica. E guardo con orgoglio l'orologio dell'aeroprto la cui temperature precipita profondamente sotto lo zero. Osservo la strada fatta di neve, queste condizioni che mi appaiono proibitive ed al tempo stesso mi attirano come in un sogno, e sento di essere in un luogo magico ed estremo, il circolo polare artico molti chilometri più a sud, e quello che sembra un gelo ed una notte perenni. E non posso evitare di provare quest'emozione selvaggia, una scoperta ed un'avventura ai confini del mondo, ai confini del mio mondo, almeno, e di tanti miei sogni. Era il primo giorno, e non avevo resistito ad uscire, appena sveglio, tutto imbardato, alla scoperta di quello che dal caldo protettivo di una finestra sembrava il quadro di un fiaba. Con quella stessa eccitazione della sera precedente, volevo esplorare il modno di ghiaccio senza perdere nemmeno un minuto, camminare sulle strade di neve o le autostrade d'inverno, solcate dalle motoslitte su laghi ghiacciati. Ed a poco a poco, quel luogo inospitale ed estremo che immaginavo a prova d'uomo, svelava le sue regole e la sua quotidianità, attraverso immagini semplici, come una scuola, una fermata di autobus dietro una muraglia di neve sollevata dalla strada, la luce di un pub sgangherato sulla strada, o una cassetta delle lettere semisommersa, ad indicare la presenza di una casa nascosta da qualche parte. Tutto calato sotto una patina unica e senza dimensione temporale, che era quel gelo perenne. Il gelo nordico si riflette nel cielo. Che sia coperto, in una bufera imminente, o in una breve giornata di sole sgargiante ma pur sempre crudele nelle rigide temperature che lo accompagnano, o sia pure una foschia impenetrabile fatta di ghiacchio e di neve. Il gelo si trasmette in quegli azzurri, in quelle tonalità rosate senza calore, e nei raggi di sole che filtrano attraverso la foresta. Un lungo permanente inverno, dove ogni cosa sembra consegnata ad un istante preciso, catturato per l'eternità. Ed é un cielo che si riflette silenzioso, fino nel profondo, un una calma apparente che cerca calore alla luce di un fuoco, in uno di quei rifugi disseminati lungo il sentiero, aperti da un lato e riparati dall'altro, dove la legna é accatastata in un angolo, ed una manciata di braci fumanti sembra aggrapparci alla vita. Sempre, nel silenzio perenne. E' così che in quest'angolo estremo, alla luce di un fuoco acceso, incontro uno dei pochi discendenti dei Sami, la popolazione lappone che vive da sempre in questi territori che dalla Russia si estendono alle coste della Norvegia. Legge lettere e poesie nella lingua del padre, una lingua diversa e sconosciuta a lui stesso, che viene da queste stesse terre, per imparare, per non dimenticare, una tradizione che dice di sentire scorrere nel sangue e che vuole riscoprire. Per riconoscere il padre, per conoscere se stesso.Il popolo Sami, che proprio qui sulle rive di un lago che vive sotto una spessa lastra di ghiaccio, ha il proprio parlamento, e recentemente sta riconquistando la propria consapevolezza e la identità é un mondo affascinante tanto quanto il paesaggio di cui sono custodi, un libro scritto in un linguaggio sconosciuto e segreto, accessibile alla luce di un fuoco che attende la notte e nel gelo polare scompare come un faro acceso in lontananza. Tra tutte, l'escursione coi cani da slitta sarà quella che più di tutte mi rimarrà impressa. Due passi, sulla neve, e poi via, la slitta prende velocità e già mi trovavo inghiottito nel silenzio della foresta, e non altro rumore che non fosse il sibilo dei pattini sulla neve fresca. Ed i cani, agili e bellissimi, lo sguardo glaciale e penetrante, che rispondevano ad ogni minimo movimento. Guaivano, rispondendo uno all'altro, quando il primo iniziava, pronti a scatenare un'energia quasi selvaggia che si scioglieva in dolcezza appena li si avvicinava. E poi, era nuovamente questo paesaggio che scorreva in velocità, seduto sul fondo di una slitta, oppure in piedi, in posizione di guida, attraverso piste segnate nella neve, riemergendosi nuovamente nel silenzio di una natura che al tempo stesso esprimeva tutta la propria imponenza e la propria bellezza, ai margini di un lago ghiacciato o nuovamente entro un labirinto di alberi sommersi di neve. Affonda il passo. Nella neve, ai lati del sentiero. Quando questo scompare. E quella che sembra una cima é una postazione di guardia che spalanca la vista a trecentosessanta gradi. Ovunque, si stendono montagne, distese di foreste su un fianco in pendenza in equilibrio precario, in una sfumatura continua che dal verde cupo si fonde con il candore della neve e le sue infinite sfumature di grigio e d'azzurro. Deserto Artico. Quest'espressione che risuona, quasi rimbomba tra un passo, una folata di vento, ed un silenzio assoluto. Non ci avevo pensato, prima che una signora gentile in una piccola caffetteria all'angolo di una strada antica, un migliaio di chilometri più a sud, me lo avesse nominato. Ora che la foresta é rimasta alle spalle, e non resta che un'unica distesa di neve, frammentata soltanto da qualche spuntone di roccia emerso dal nulla e dallo strenuo profilo scheletrico di un albero prostrato del vento. Il vento sibila, quasi feroce, e le nubi ore sempre più grigie preannunciano tempesta. Questo passaggio a Nord ha un che di eroico e selvaggiamente indomito, un po' come quel profilo che interrompe la linea curva dell'orizzonte e resiste come ogni logica. Oytis, oytis. Un altro passo in questa piccola avventura dentro l'ignoto, ai confini del mondo. Ed un luogo che penetra nel profondo e conquista senza resistenza. Un passo ancora che affonda nella neve. Il punto più lontano di questo sentiero che mi ha portato ad attraversare ponti gelati, foreste indefinite ed ora un luogo che é un'avventura. Ancora deserto. Di neve, di vento e fatica. Di emozioni. Nel silenzio, risplende.