Enodas

.


Tamburella, leggera. Ancora impercettibile nell'aria, ultime luci del giorno più lungo dell'anno. Si infrange sulle foglie, quelle ampie della vite, e sui petali di una margherita avvolta nell'oscurità. Si rivela così. Pensavo di non scrivere più, per qualche tempo imprecisato. Troppo profondi e troppo nascosti i pensieri. Come calare un sipario.Osservo le luci fioche sul terreno, linee che si distribuiscono a raggiera sul terreno bagnato, prima di perdersi nell'ombra. Perché ormai é notte, finalmente, nel giorno più lungo dell'anno, ed il lungo tramonto nordico alla fine si arrende, che il nord, quello vero, é più in là, un punto lontano abbastanza da far sì che qui la luce si spenga. La luce di una candela bianca oscilla sul tavolo. Ed osservo in silenzio, in un angolo, sotto un riparo che mi permette di ascoltare la pioggia, respirarne l'odore via via più intenso, fissare lo sguardo nel vuoto, là dove finisce inghottito tutto ciò che provo a ripetermi. Non capisco.Mi viene sempre in mente la pioggia nel pineto.Adesso é una cortina liquida che mi improgiona, nel mio angolo privilegiato. Scende, con insistenza, ed insistente é il rumore su ogni foglia, intravista nell'ombra o meno, ogni superficie, tutto che non sia sotto questo piccolo rifugio Non ho voglia di scrivere. Eppure avrei avuto molte righe da aggiungere, sparpagliate in qualche pagina virtuale, qua e là, di questi giorni lenti ed assurdi di una normalità che per nessuno di noi può essere effettivamente normale.Mi viene quasi da pensare che mi piacerebbe addormentarmi qui, in quest'angolo riparato, sotto la pioggia, osservando le poche luci tracciate nel terreno ed ascoltando nel buio. Con apatia e sfiducia, semplicemente, nemmeno mi veniva di passare da queste pagine.