Enodas

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 Mi piace pensare che i costruttori del passato dovessero avere un senso estetico. Deve essere così. Oltre le necessità difensive, le tonalità cupe di un mondo violento ed insicuro, oltre le cinta murarie, il controllo del potere, una guerra continua, dovevano per forza avere un senso del bello. Città incastonate su speroni rocciosi, un'ombra proiettata sui terreni coltivati a valle, i vitigni i pendenza, gli alberi da frutto, e piccoli punti sulla mappa colmi di storia, magari, e ad oggi quasi dimenticati. A vederne il profilo passando in autostrada, o via via avvicinandomi per strade sempre più lente e a misura d'uomo, non ho potuto distaccarmi da questa impressione, quasi un'illusione, forse, che il mondo fosse governato dalla bellezza. Come fortezze e castelli sospesi nel cielo, che qualcuno ha fatto ricomparire in qualche fiaba nel mondo, o piuttosto immagini scolpite che resistono al tempo, attraverso la storia d'Italia, frammentata proprio come queste città difese ed appartate, isole sorprendenti oltre le mie aspettative, quasi fluttuanti su quel mondo moderno dal quale mi arrampicavo senza sapere che dietro ogni angolo ci fosse sempre tanto da scoprire. 
 Una lunga spirale che si avvolge nel cuore della montagna: così la scendo lungo piccoli gradini in dislivello, come se avessi appena bevuto un bicchiere di vino robusto, osservando dalla successione di finestre aperte nel baratro linee avvolte su se stesse destinate a non incrociarsi. Ho pensato alla torre di un castello, sulle rive di un fiume, molto lontano da qui. Solo che adesso la luce non é altro che un faro sempre più lontano a nascondere il cielo, forse chissà pure il mondo dei vivi, là in alto, mentre raggiungo infine la base, una pozza d'acqua oscura che era allora l'ultima difesa, la speranza di vita in fase d'assedio. 
 La signora anziana invita ad entrare. La casa é un luogo sepolto dal tempo, le lenzuola che coprono i mobili, il silenzio di un luogo abbandonato dietro una porta chiusa, la coltre del tempo che vi si deposita oscurando i ricordi. La signora anziana é ferma alla porta ed osserva l'incrocio di stradine che danno sul presente di un piccolo borgo via via sempre più anziano. Taglia talee di piante perché le porti con me, ed in questo momento penso che é come se raccogliessi un minuscolo frammento di lei e lo portassi via, lontano con me, perché rimanga nel mondo. Vuole parlare. E racconta: del paese, di una famiglia giovane che si é trasferita da poco nella casa torrita di fronte, dell'eremo dall'altra parte della gola che si spalanca ai piedi del paese, ai piedi della sua stessa casa. Parla della guerra, ovviamente, dei ricordi e della sua vita, così come dell'età che nessuno gli attribuirebbe mai, e della fioritura delle piante che con la mano sta condividendo con me. Ho pensato che questa signora era un po' come la mia nonna, il suo profilo sull'uscio di casa, il suo raccontare, la sua memoria. Lentamente, sfumano, ed é una perdita enorme. Come la resistenza stessa di questi borghi, tanto belli quanto ancorati ad un passato che sembra difficilmente conciliabile con il mondo attuale, più freddo, più indifferente, più povero. Sembra ineluttabile. Che con quelle lenzuola stese sui mobili scenda l'oblio. Ed uno ad uno questi luoghi si spengano in un silenzio infinito. 
 Dall'Etruria al potere di Roma, i colori antichi dei primi culti cristiani, le guerre del papato. Tutto, seguendo un sentiero che gira attorno ad un lembo di terra. La cittadella, fortificata, osserva dall'alto come un'ombra. Concentrata, qui come altrove, tra sotterranei, costruzioni scavate nella roccia, vicoli stretti dove piante rampicanti sgorgano dagli angoli delle case e la sera la luce si riflette sui sampietrini lucidi e consumati dal tempo e a qualche angolo la gente resta seduta in strada a cercare rinfresco del calore estivo. Voci che si perdono nell'oscurità. In fondo, é un po' un'avventura anche questa, esplorare questi borghi silenziosi, alla ricerca di una qualche curiosità, una storia lasciata su pietra, uno scorcio nascosto o forse anche una taverna dove fermarsi a cenare. Che il vino contiene il sapore intenso del sole ed il cibo non fa torto alla bellezza del luogo. 
 Il borgo fantasma. Uno dei tanti che rischiano di scomparire. Su questo, davvero é già calato il silenzio, e tutto attorno sembra allestito come un'esposizione di un tempo fermato ad un allora, quando lera una borgata di contadini che sopravviveva dedicandosi alla terra. Gli oggetti sono lasciati qua e là, appoggiati ad un muro, o oltre le mura spaccate di un'abitazione. Potrebbe benissimo essere l'ambientazione di un film, uno di quelli che racocntano l'Italia di un altro secolo. Mi sembra davvero di viaggiare lontano. Ed ancora mi torna in mente la nonna, con i suoi racconti ed i suoi ricordi, chissà probabilmente anche l'infanzia dei miei genitori, questo tempo forse non é poi tanto lontano, siamo noi che abbiamo impresso un'accelerazione impressionante alle nostre vite, e la vedo, vedo i suoi occhi buoni che vivevano questi luoghi, allora in vita per davvero, frementi e brulicanti, ben più del sospiro che lasciano adesso, perduto nell'immobilità del paesaggio. 
 Ogni luogo ha la sua storia, un'immagine che ho raccolto in qualche ora di passaggio. Cerco di far emergere quelle annotazioni che avevo depositato nella mente. Come il volto di una suora, dietro una grata, che vendeva marmellate che ognuno, di paese in paese, non mancava di menzionare. Era quasi tramonto, de qualche punto oltre le mura giungeva il canto di un coro, e con la vista della campagna era quel momento del giorno in cui valeva la pena fare un respiro profondo, chiudere un attimo gli occhi e lasciarsi andare ad una sensazione di rilassatezza. O magari invece la discesa, ripidissima, verso il paese "delle streghe", quello sì da immaginarsi la notte in un chiaro di luna piena: ed invece, era giorno, sole intenso e dalle case incastonate una sull'altra spuntavano soltanto laboratori artigiani e profumi di dolci invitanti. O forse ancora ancora la città delle chiese, come l'ho impressa nella memoria, circondata, sui colli vicini, di questi edifici che trovare aperti era un colpo di fortuna ed un viaggio raccolto tra spaccati di intarsi i cui colori sono ancora lucidi e vivi e quella luce che come un bagliore si proietta nella penombra silenziosa e mistica di questi luoghi di culto e di arte, preziosi e praticamente deserti. O invece, infine, ognuna di quelle piazze, punto nevralgico di strade incrociate, un po' approdo sicuro ed un po' punto di partenza, strade medievali e stratificazioni del tempo. 
 Via Francigena. Questo nome che ovunque appare ad indicare la strada ha un potere evocativo impressionante. Credo che questo tratto, lungo la Tuscia, sia uno dei più belli. Lo ritrovi, attraversando il centro di ogni borgata, la freccia indica il cammino, verso una nuova salita magari o una strada in discesa, oggi come allora, lungo questi luoghi che erano stazioni di riposo ed il pellegrino sfiorava con la mano quelle stesse costruzioni, quella stessa acqua che sgorga dalle fontane, quelle stesse porte che garantivano un accesso sicuro. Forse, nella lentezza del sentiero, ben poco é cambiato. E poi, nuovamente abbandona le mura, scende tra i campi, magari inghiottito in una gola verso valle, una foresta, una nuova salita, il profilo di un eremo appollaiato in qualche punto. Quella lentezza, che rappresenta il cammino é la suggestione, tanto da pensare che sì, sarebbe bello mettersi in cammino, rallentare il tempo fino a dimenticarsi del suo incedere ed accettare la sfida, rallentare e godere di questo paesaggio, di questi segni di storia e memoria che sono incastonati ovunque attorno.