Enodas

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  Credo che difficilmente passerà questo giorno. Sono tornato, risalendo chilometri e chilometri di strada nella solitudine peggiore, quella che si prova quando fisicamente si ha qualcuno accanto. Avevo caricato la macchina per portare con me quanto più possibile, una volta tanto che cause esterne mi avevano obbligato a guidare, per trarre vantaggio da questo viaggio forzato su strada. Scusa o motivo, ho perso l'eccitazione un po' bambinesca (ma che chi vive all'estero può immaginare) di avere in gran quota mezzo supermercato alle spalle. Ho percorso questi chilometri in una solitudine amara, proprio quando invece avrei avuto bisogno di non essere solo, proprio quando chi sedeva accanto avevo bisogno fosse anche vicino. Ed invece, come una trama scritta al contrario, é stato tutto l'opposto. Per la strada, una lunga interminabile tirata, per la tristezza e l'incapacità di prevedere il futuro dei prossimi mesi. Perché, accanto allo strappo che ogni partenza, ovunque essa sia, comporta per me emozioni contrastanti, questa volta é ben diversa, e come non sapevo quest'estate come e cosa avrei fatto per scendere, ancora più indecifrabile mi appare tutto ciò che sarà. Sono arrivato a notte fonda e nella notte ho passato lo sguardo in giardino, trovando un mezzo disastro. E' un'immagine che nel buio ha aggiunto sconforto a sconforto. Davvero basta così poco perché tutto cada in rovina, perché senza che metta mano di persona crolli tutto come un castello di carte? Di nuovo, mi sono sentito inutile ed impotente. Questi chilometri, percorsi in macchina, sembrano già un'illusione temporanea, un filo che avevo idealmente ritessuto nella convinzione illusoria che, nel peggiore dei casi, potrò sempre guidare. Perché nel frattempo, volante alla mano, continuo a chiedermi cosa sia amare davvero un'anima, ovunque proteggi, e se mai sarà davvero così.