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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°867 pubblicato il 18 Settembre 2020 da enodas

 

 

 

Xiloscalo é la Scala di legno, letteralmente, il nome di un luogo dove termina la strada ed inizia la discesa, gradino dopo gradino, verso il mare e verso un'avventura. Una traversata in uno di quei luoghi del cuore che mi sono portato dentro dalla prima volta che sono stato qui, e per non so bene quale motivo una delle camminate che rimangono più impresse nei miei ricordi. Scendere, verticalmente, per addentrarsi nella foresta ed iniziare il percorso verso le porte di ferro, due pareti gigantesche che arrivano quasi a sfiorarsi. Ma no, non ancora. Perché il cammino é lungo, attraverso la gola, sfiorando alcuni ruderi, una chiesetta in pietra completamente vuota, ed un antico villaggio andato perduto. Ma soprattutto, é un lungo cammino che come mi porta al mare sembra anelare ad una catarsi interiore, forse il termine giusto visto il luogo, una avventura spirituale ed un obiettivo lontano che elude e si nasconde alla fine di lunghi chilometri.

 

 

Massi giganti, piccoli ponti di legno, il sentiero che balza da un lato all'altro, scende sul fondo per poi rialzardi ed osservare questo mondo di pietra e verde da punti continuamente diversi. E via via che mi avvicino alle pareti sempre più alte, vertiginosamente, il sospiro degli dei inizia a farsi sentire, improvvisamente potente e violento, una raffica che spazzerebbe via il terreno se non fosse di blocchi giganti di pietra trascinati dall'acqua di un torrente che ora non é motlo più che un rigagnolo. Verso l'alto, un'unica, rettilinea feritoia verso il cielo, che adesso sembra davvero materializzare tutta la sua distanza. Il soffio degli dei sale dalla terra, alle mie spalle, si nutre di se stesso, e mi psinge ad andare oltre, verso il punto più stretto e più profondo, le Porte di Ferro, dove da una parete all'altra quasi basterebbe allungare le braccia. Tornato, ancora una volta, in questo luogo dell'anima, stanco sì, ma con quell'immagine che volevo rivivere, prima di scendere, dopo tanta battaglia, verso il paese, quello di oggi, già incredibilmente diverso rispetto a pochi anni fa, e la spiaggia di pietra nera come la pece che sparisce tra le acque gelide e trasparenti del mare. Oltre la linea dell'orizzonte é già Africa.

 

 

Ondeggiano gli ulivi. Una marea argentata in continuo movimento. Lungo tutta l'isola, ma ancor più in questa ultima parte, più selvaggia, più estrema, più da confine del mondo. Ondeggiano. Ed io cerco la loro ombra. Nel legno, così contorto e sofferente un segno di purezza. E di vita, come l'olio denso che prende corpo in bocca. Toccando uno di quei tronchi mi viene in mente il legame profondo che in Palestina lega gli uomini ad i loro ulivi. E' un'immagine che torna viva nei riflessi argentei, nell'aria calda del sole d'estate, nel tremare delle foglie quando si leva un alito di vento, nella luce che esalta il contrasto di ombre sulla terra rossa e drenata. E mi riempie d'affetto e passione.

 

 

Ricordo anche loro, questo campo di ulivi. In partenza, seguendo un sentiero dal nome impronunciabile. Qui dove i passi sono meno battuti e ci si potrebbe trovare soli una giornata intera, il cammino a volte si perde, a volte sembra interrompersi davanti ad un blocco che sembra sia stato scaraventato dal cielo. La gola fa una lunga deviazione a sinistra, nell'illusione che ad ogni passaggio sia un'ultima curva a nascondere l'orizzonte. E invece, continua, piegandosi come un serpente che scendendo diventa sempre più deserta e crudele. Un alito di vento mi rammenta che questa é l'isola degli dei. O forse, infine, mi richiama, dal mare, quando infine si apre, questa piega della terra, e quello che era un fiume scomparso straripa verso la spiaggia. Ed ovunque é deserto, un poco anche mio: la spiaggia incastonata da pareti rocciose, il sentiero che sale sulla sinistra a picco sul mare, il silenzio e la solitudine incontaminata di questo luogo, quella sensazione di aver lasciato questo luogo soltanto ieri.

 

 

Osservo. Vedo un ragazzo seduto, ad osservare una linea infinita. So che é il suo compleanno, so che questa sera si imbarcherà per Atene e per la prima volta vedrà questa città che il solo nome lo affascina. So addirittura cosa sta leggendo, unico libro messo nella zaino in questo viaggio alle origini del mito. Lo sento, le speranze, i sogni, una visione un po' troppo idealistica del mondo e dell'anima. Lo vedo, e mi domando se in qualche modo non lo abbia tradito, se una parte di quello che era sia andato perduto, nascosto, diviso. Forse questo luogo, più di molti altri é all'origine di me stesso, della mio desiderio di viaggiare, della consapevolezza. So che anche questo é un luogo dell'anima, di quelli che rimangono dentro, e ti accompagnano come un ricordo che riscalda e ti fa versare una lacrima ogni tanto. E se allora avevo promesso di tornare, oggi mi domando se ancora troverò questa spiaggia così come la lascerò questa volta. C'é un albero, molto vecchio di sicuro, proprio all'ingresso della gola, tra la spiaggia e la montagna. Uno di quegli alberi centenari che sembrano sprigionare una innata saggezza. Risalendo il cammino, si staglia su una tela di sassi bianchi, lo specchi brillante del mare e l'azzurro pultio del cielo. Tre linee di colore per rappresentare l'infinito. Così lo ricordavo, così ancora una volta, lo porterò con me, immobile in questo luogo ai confini del mondo, ad attendere un eterno ritorno.

 

 

Questo é l'ultimo dei tre sentieri che volevo attraversare in questi giorni. Ancora più lontano, ancora più isolato. Ai confini del mondo, dopo aver oltrepassato deserte strade spazzate dal vento e mareggiate di ulivi a perdita d'occhio. La Valle dei Morti é quell'ultima discesa verso il mare, accompagnato di nuovo da quel paesaggio via via più esposto e crudele, parti di roccia scavate nel tempo, e caprette funamboliche che saltellano in equilibrio precario. Tutto per arrivare alle rovine di una città perduta ed antichissima a ridosso del mare. Qui, come altrove, poche pietre accennate é tutto ciò che rimane. Quella stessa civiltà che con le proprie sepolture ha lasciato in eredità quel nome sinistro. Onde che si infrangono in lontananza, odore di salsedine. Come se ancora esistesse una connessione invisibile, un'eco silenziosa che dal moto magnetico delle onde richiama il mito perduto. E no, non voglio partire, risalire il percorso abbandonare la spiaggia, questo luogo, quell'eco lontana. Un ultimo, lunghissimo passo, sfidando il tempo ancora lasciato dalla luce del giorno. Sfidando il tempo che mi riporta al presente.

 

 

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