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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


Non mi piace


l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Liszt

Valse Oublièe
Valse Impromptu

Schubert

Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

Messaggi di Ottobre 2020

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Post n°873 pubblicato il 24 Ottobre 2020 da enodas

 

 

"Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l'assenza della speranza ha reso tutti ugualmente vuoti – giorni e anni, molti dei quali morti come le foglie secche su un albero inaridito. Ricordo il giorno e l'ora in cui il mio sguardo si posò per la prima volta sul ragazzo che doveva diventare la fonte della mia più grande felicità e della mia più totale disperazione. ..."

 

Sono pochi i libri letti di cui mi trovo a scrivere, e questo in realtà per lunghezza non é molto più che un racconto lungo, e forse nemmeno scritto nel migliore dei modi. Eppure basta una frase, una riga soltanto che giunge alla fine e ti lascia così, sospeso, che é come se fossi giunto alla fine troppo in fretta e, rimasto in silenzio, non puoi far altro che trornare indietro e leggere di nuovo. Perché basta una parola, anche l'ultima, a cambiare una storia e dare un senso di leggerezza e speranza, e a riscoprire con occhio diverso una persona che si ha amato. Anche quando il male é tale da essere straripante senza essere nemmeno narrato. Troppo forte l'orrore della Storia, troppo forte il dolore.

 

"[...] all'improvviso mi resi conto con un misto di gioia, sollievo e stupore che era timido come me e, come me, bisognoso di amicizia."

 

Nella sua semplicità, narrato come fosse scritto da un adolescente, questo é un racconto di amicizia, di uno di quei migliori amici che si trovano solo quando si é giovani, forse perché non si é ancora stati macchiati a sufficineza dalle delusioni e dai graffi che lasciano i rapporti umani. Per come l'ho letto, questo racconto é andato oltre l'orrore del contesto, la cui incombenza é resa chiara con implicita delicatezza, e mi ha portato prima su un livello più astratto, quello della lotta tra bene e male, della forza delle idee e della purezza di cuore, ed infine su un altro livello, molto più semplice e molto più pratico e personale, che - se sia illusione o meno non lo so - una vera amicizia, come un vero amore, da qualche parte duri in eterno.

 

"... L'unica ragione che mi induce a rievocare gli interessi, le gioie, i dolori che condividevamo è il tentativo di comunicare quale fosse la nostra vita interiore..."

 

Ricordo una volta di aver letto da qualche parte che gli amici che ci accompagnano tutta una vita si contano sulle dita di una mano. Allora, come in poche altre occasioni, pensai ad un amico su cui non avrei avuto dubbi questa affermazione fosse vera, salvo poi, sopraffatto dal tempo e dalle semplici circostanze della vita, amaramente scoprire che non fosse così. In amicizia, così come in amore, ho collezionato delusioni cocenti, e per come sono fatto sono sempre state delusioni profonde ed intense, a volte ferite che ancora fanno male se toccate. Sono giunto alla conclusione che non credo ci sia niente di speciale, in questo, in quanto fa parte del circolo delle cose, e che tutto ci sembri tanto straordinario ed unico per il fatto che le viviamo in prima persona. Ma forse consola un po' pensare che questo esista, che noi esistiamo, in qualche angolo nascosto ma pur sempre prezioso, di queste persone, un po' almeno come loro per noi, un attimo di eternità, e che come tali ci si renda conto che sono un amico ritrovato, un amore ritrovato, anche se soltanto nel nostro cuore.

 

"... Ma ne ero proprio sicuro? Era davvero impossibile che la porta di casa si aprisse per farlo entrare? E non stavo già, in quello stesso istante, tendendo l'orecchio per cogliere il suo passo? ..."

 

 

 
 
 

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Post n°872 pubblicato il 20 Ottobre 2020 da enodas

 

 

E' già un mese che sono tornato. Eppure ci sono cose che non mi sono scrollato di dosso. E' un'amarezza che é penetrata forse ancora più profondità. Ed al tempo stesso, tutto ciò che accade al di fuori di queste mura, dalle quali peraltro ormai non scorgo altro che un'aria densa e grigia ed una pioggia fredda e perenne, ha ripreso a correre in una progressione tale che nemmeno potevo immaginare. Ancora, nel frattempo, ho sbagliato previsioni, e mi trovo con un biglietto aereo che avevo cercato di recuperare per scendere il prima possibile e che probabilmente deciderò di buttare. E intanto quella lontananza torna a farsi fisica e concreta, oltre che preoccupazione. Mentre i colori che altrove avevo cercato di raccogliere e portare via con me sembrano sbiadirsi in una distanza quasi oltre l'orizzonte. Tanto da non credere davvero al calcolo del tempo. Chiudo gli occhi, cercando di riviverli come immagini, per sentirne il calore, come un fuoco che riscaldandomi mi possa confortare in questo deserto che é calato attorno a me. E' lo stesso deserto che confina da mesi ormai i miei post non scritti, una data soltanto ed una pagina bianca. Ed un senso di solitudine che non accenna a sciogliersi.

 

 

 
 
 

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Post n°871 pubblicato il 10 Ottobre 2020 da enodas

 

 

L'ho sognata di nuovo. Ogni tanto mi capita, é questo l'unico contatto che mi resta, illusorio, da tanto tempo. Anche se la trama, rispetto ad una volta, sembra sia cambiata. Perché ciò che vedo é una storia proiettata, in avanti, che guarda al passato. E' come se, inconsciamente, anche questi recessi più oscuri della mente avessero assimilato qualcosa. Ma sempre e comunque di questi sogni mi rimangono impressi gli sguardi, le immagini, i silenzi. Non sento, o mi sveglio quando dimenticando le parole, col groppo di non essere riuscito a parlare, a trovare in un sogno ciò che non esiste in realtà, a fermare un istante. Mi sono trovato, me stesso di allora silenzioso spettatore del me stesso di un futuro indefinito, e mi vedevo parlare con lei. O forse era solo osservarla, non lo so. Così come non so più cosa avrei da dire. Che ormai non ha più veramente importanza. Sulle rive di un lago, d'azzurro e di sole, senza che abbia un riferimento minimo ad una realtà conosciuta. Perché lei arriva da un'isola, proprio una di quelle isole sconosciute, forse, attraversando l'acqua in battello. Un altro dettaglio che ritorna, altre notti, in queste immagini, perché in qualche maniera mi trovo dentro una storia con una trama non casuale. Ma che rimane perennemente sospesa, in attesa di sentire qualcosa, forse, che mi liberi l'animo e lo lasci un attimo più leggero, o che mi sfiori, non saprei neanche come, in quella che é tutta un'illusione di un sogno. Che alla fine, a dire il vero, non saprei neanche cosa chiedere. Se non, forse, di non svegliarmi con quel peso incompiuto nel petto che non é soltanto l'attimo di aprire gli occhi e realizzare che si stava soltanto osservando una proiezione della mente, ma anche tutta la polvere, reale, che anche un sogno, può sollevare.

 

 

 
 
 

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Post n°870 pubblicato il 03 Ottobre 2020 da enodas

 

 

"Narrami, o musa, dell'eroe multiforme, che tanto
vagò, dopo che distrusse la Rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,
molti dolori patì sul mare nell'animo suo,
per riacquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.
Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo:
con la loro empietà si perdettero,
stolti, che mangiarono i buoi del Sole
Iperione: ad essi tolse il dì del ritorno.
Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus. (...)"

 

 

Oytis. Oytis. Ancora, il suono del mare, un'eco che sospira di forza divina. Nessuno. In balia delle onde, in balia di se stesso, e di un viaggio infinito. Sciolto in un pianto, esaltato nelle sfide, assetato di sapere. Oytis é un'eco che risuona quando osservo, quando cammino, esaltato ed un po' impaurito in una terra sconosciuta, quando sogno di fronte alle stelle o ad un cielo che si spalanca chiudendo gli occhi, quando perduto naufrago dentro me stesso. Allora penso che in un mondo antico, da qualche parte, qualcuno ha scritto il suo nome, ha raccontato le sue avventure ed il suo viaggio che non é mai veramente terminato. E da qualche parte sento il rumore delle onde, la linea d'orizzonte infinita del mare. Eroe per me, eroe un po' di tutti, viaggiatore e viandante, non é più davvero Nessuno.


"...Ciclope, mi chiedi il nome famoso, ed io
ti dirò: tu dammi, come hai promesso, il dono ospitale.
Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano
mia madre e mio padre e tutti gli altri compagni”.
Dissi così, lui subito mi rispose con cuore spietato:
“per ultimo io mangerò Nessuno, dopo i compagni,
gli altri prima: per te sarà questo il dono ospitale”.
Disse, e arrovesciatosi cadde supino, e poi
giacque piegando il grosso collo: il sonno,
che tutto doma, lo colse (...)"

 

 

Polytropos, l'eroe dai mille volti che nel viaggio impara a conoscere se stesso. Intrico della mente, sconvolgimento di ogni pensiero, astuzia ed inganni, ricerca e racconto, vendetta ed amore. Perché alla fine non resta altra forza talmente intensa da riuscire sempre a spingerlo oltre e far sì che raggiunga il prossimo approdo. Verso un abbraccio, quello col padre, un pianto liberatorio, quello della nutrice, il palpito di una mano che sfiora un altro corpo, quello della donna che ama. Nella purezza delle emozioni e nella semplicità degli affetti, svelati dall'arte, l'eroe é nudo. E terribilmente umano.

 

"...Era Odisseo: lo riportava il mare
alla sua dea: lo riportava morto
alla Nasconditrice solitaria,
all’isola deserta che frondeggia
nell’ombelico dell’eterno mare.
Nudo tornava chi rigò di pianto
le vesti eterne che la dea gli dava;
bianco e tremante nella morte ancora,
chi l’immortale gioventù non volle.
Ed ella avvolse l’uomo nella nube
dei suoi capelli; ed ululò sul flutto
sterile, dove non l’udia nessuno:
– Non esser mai! non esser mai! più nulla,
ma meno morte, che non esser più! ..."

 

 

Ulisse. Gli dei lo osservano, sbattuto dalle onde, inseguito da creature mostruose o donne di una bellezza tale da essere incantesimo. Gli dei osservano e capricciosi quasi giocano, sul destino degli uomini, immobili e giganti, in una grande sala il cui romore é quello di un mare in tempesta, ed al cui centro fluttuano i resti di un'imbarcazione strappata al tempo ed al mare. Un po' come lui, la sua vita disperatamente rivolta verso casa, verso gli affetti di chi, nonostante tutto continua ad attendere con speranza incrollabile, o di chi, disperato ha ceduto alla vita. Il viaggio, dell'eroe e dell'arte che ha voluto raccontarlo, secolo dopo secolo, inizia da qui, da questo simposio che si materializza nell'evocazione di una sala enorme che già vale lo sforzo di essere qui, straordinaria sensazione di attraversare minuscoli ed insignificanti una sala aperta sull'Olimpo, là dove né noi, né lui, avrebbe potuto camminare e perorare la sua causa.

 

 

"...Non adirarti con me, Odisseo, tu che sei
il più saggio di tutti gli uomini! Sono stati gli Dei a darci
tante sofferenze, invidiosi che noi godessimo la giovinezza
e la vecchiaia rimanendo sempre vicini!
Non arrabbiarti, non ti offendere se io
non ti ho manifestato subito il mio affetto.
Il mio animo aveva sempre timore in petto che qualche mortale
venisse ad ingannarmi con le chiacchiere:
in molti, infatti, tramano astuzie malvage.

 

(...) Disse così e in lui suscitò ancor di più il desiderio di piangere:
piangeva stringendo la sposa bella e saggia.
Con la stessa gioia con cui i naufraghi vedono terra,
quelli a cui Poseidone ha frantumato la solida nave,
travolta dal vento e dalle grandi onde
(in pochi si sono salvati, nel mare bianco di spuma;
hanno raggiunto a nuoto la riva, con la pelle incrostata
di sale ma felici di aver evitato la morte);
con la stessa gioia lei guardava il suo sposo,
non staccava dal suo collo le sue candide braccia. ..."

 

 

E allora, non saprei quante parole spendere davvero per raccontare. Così invece lo raccontarono poeti pittori e scultori, generando bellezza e meraviglia. Ma anche scavando nell'animo umano, esplorando le proprie inquietudini e riflettendo sul proprio destino. E così il Mito ha attraversato, viaggiando come si canterebbe di lui, lungo i secoli, la storia dell'Arte, e le epoche degli uomini, adattandosi al Tempo, narrando uno o un altro aspetto di quello che siamo, un po' come fossero ciascuna una di quelle isole dove l'eroe approdava - talvolta naufragava - in un peregrinare continuo. Ha udito canti ipnotici e fatali, ha affrontato creature mostruose, ha amato colmo di passione o in preda ad un sortilegio. Ha perso i compagni e forse, chissà, ogni tanto anche la speranza. Perché é umano. Ma dentro di sé deve aver custodito acceso quel frammento di casa che lo riporterà ad Itaca. Per ripartire, un giorno, alla fine del mondo. O forse, come racconta l'ultima sala dedicata al Secolo Breve, di fatto non riuscirà a ritrovare davvero la via, e perdendo il ricordo del ritorno si è perduto, scordando il proprio destino. Itaca, per sempre.

 


"...Essi poi mi legarono mani e piedi nella nave,
ai piedi dell’albero: a questo fissarono le corde;
seduti in fila battevano con i remi il mare pieno di spuma.
Come fummo lontani tanto quanto si arriva con un grido
alle Sirene non sfuggì che un’agile nave si stava
avvicinando; esse intonarono un canto armonioso:
– Vieni qui, presto, glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei;
ferma la nave perché tu possa sentire la nostra voce.
Nessuno si allontana mai da qui con la sua nave nera,
se prima non sente la voce dalle nostre labbra, suono di miele;
poi riparte pieno di gioia, conoscendo più cose.
Noi tutto sappiamo, quanto nell’ampia terra di Troia
Argivi e Teucri patirono per volere dei numi;
tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice -.
Così dicevano, alzando la voce bellissima; allora il mio cuore
voleva ascoltare: ordinavo ai compagni di sciogliermi,
facendo cenno con le sopracciglia; ma essi remavano senza posa.
E subito alzandosi, Perimede ed Euriloco                           
facevano nuovi nodi e mi stringevano ancora di più. (...)"

 

 

"Il protagonista dell’Odissea è il più antico e il più moderno personaggio della letteratura occidentale. Egli getta un’ombra lunga sull’immaginario dell’uomo, in ogni tempo. L’arte ne ha espresso e reinterpretato costantemente il mito. Raccontare di Ulisse ha significato raccontare di sé, da ogni riva del tempo e raccontarlo utilizzando i propri alfabeti simbolici, la propria forma artistica, attribuendogli il significato del momento storico e del proprio sistema di valori.
Dall’Odissea alla Commedia dantesca, da Tennyson a Joyce e a tutto il Novecento, di volta in volta, Ulisse è l’eroe dell’esperienza umana, della sopportazione, dell’intelligenza, della parola, della conoscenza, della sopravvivenza e dell’inganno. E’ “l’uomo dalle molte astuzie e “dalle molte forme”.
Dopo la Guerra di Troia, quando affronta le sue avventure nel viaggio del lungo ritorno, egli è già un personaggio famoso. Ma quel viaggio è anche la faticosa riconquista di sé, della propria identità, attraverso il recupero narrativo della sua vicenda alla corte di Alcinoo, attraverso la memoria del ritorno. Così come accade all’arte, che narra narrandosi, che racconta l’oggetto e la sua forma stilistica. [...]"

(dall'Introduzione alla Mostra)

 

[...]

 

 

 
 
 
 
 

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