carpe diem

La dolce sottomissione di una donna


Marlon Brando arrivò finalmente a saziare almeno sullo schermo, il segreto masochismo femminile, negli anni del cinema per famiglie, della società perbenista e delle ragazze sacerdotesse della loro verginità; luceva di giovinezza e di brutalità, era un attore sofisticato, un uomo tormentato.E per la prima volta forse nella storia del divismo, un corpo, uno sguardo, un broncio, una canottiera, dilagarono con lo stesso imperio nella fantasia di donne e uomini: già dal suo secondo film, Un tram chiamato desiderio: uomini e donne si innamorarono di lui, il maschio predatore e intrattabile, il sadico capace di dolcezza, l’afasico collerico: non era bello e sembrava bellissimo, pareva persino che dallo schermo in bianco e nero emanasse un suo sconvolgente odore. Sapeva far correre la fantasia nel baratro dei sesso, anche se i suoi baci non erano così penetranti e le sue carezze così ardite, non si poteva allora in un film. Eppure, finalmente, un attore, un personaggio, suggeriva alle donne la violenza bruciante dell’erotismo senza amore, faceva rabbrividire i gay per la sua ambiguità sprezzante, dava agli etero l’inquietudine della loro fisicità inespressa, che mai una maglietta sudata avrebbe reso peccaminosa. Del resto il personaggio di Kowalski l’aveva inventato uno che se ne intendeva, Tennessee Williams, che nella banalità trasgressiva di allora gli aveva messo vicino la moglieIncinta e devota e la cognata vedova e via di testa. Nella sessualità della fantasia le donne non si immedesimavano nella buona moglie e madre che si riprende il marito, ma in Blanche, la sedotta per crudeltà e scherno, e non solo perché aveva la grazia fragile di Vivien Leigh. Se buio e sottomissione dovevano essere il destino femminile, che almeno ci fossero fiamme e lacrime, peccato e nessuna redenzione.   Camilla CedernaDa "La Repubblica del 3 Luglio 2004