epagogico

This must be the place


Ognuno ha un peso da portarsi dietro, un fardello più o meno pesante o pressante, più o meno visibile agli altri o a se stesso (i pesi più pericolosi sono proprio quelli invisibili). Chi ha un peso sulle spalle (tipo mio nonno che portava sacchi di grano nei campi), chi nelle palle (no comment), chi una palla al piede (tipo una moglie, un marito o una suocera), chi una catena senza palla (tipo uno fuggito da una delle tante prigioni che ci sono così familiari), chi una cosa non fatta o una cosa fatta troppo presto (tipo un gatto a cui, per il troppo giocare, è sfuggito il topo).Io ho un trolley che da troppi anni mi tiro dietro. Uno di quei trolley da bagaglio a mano che troppo spesso riempio e altrettanto spesso svuoto sempre con gli stessi immancabili oggetti, sempre con le stesse mutande (dopo averle lavate), e manco a dirlo puntualmente dimentico qualcosa di assolutamente necessario, tanto da non arrabbiarmi più, o quasi. Oppure, quando non dimentico nulla, la sensazione della dimenticanza perenne non mi abbandona mai.Quando esco di casa e me lo porto appresso, dal rumore che fanno le ruote sull’asfalto, sembra un treno e tutti si affacciano alla finestra per vedere di cosa si tratta. In fondo, nei paeselli è normale, non accade mai nulla e quando passa un trolley è una notizia. Chi se ne va oggi? Chi torna?Insomma, credo che quel maledetto trolley tra poco lo lascerò in qualche sottoscala a prendere polvere per riempirlo solo quando farò davvero un viaggio. E le finestre di quella larva di paese rimarranno chiuse per sempre, almeno per me. Raramente trovo piacere nell’abbandono ma questa volta sono davvero felice. E’ un peccato essere felici? Me lo chiedo spesso, comunque no. Non mi pare.