epagogico

La professione dell'amore


Ieri sera sono passato davanti ad un ristorante dove erano in corso i preparativi per la cena di S. Valentino: tanti piccoli tavoli disposti geometricamente, tovagliette rosse, candele rosse, il soffitto bianco pieno zeppo di palloncini rossi a forma di cuore (è questa l'immagine che mi ha più colpito: la moltitudine di cuori appesi al soffitto, imprigionati, come gli fosse impedito di volare via). E immagino dopo: musica diffusa e soffusa per farsi le fusa, il menù dell’amore, vini rossi, cibi piccanti, vasodilatatori, ostriche, valve che si confondono con le vulve e così via.A parte il fatto che la passione, se c’è, si scatena pure in un cesso pubblico, io non ho nulla in contrario all’amore, ci credo. Solo che mi farebbe ridere a crepapelle mangiare con la mia amata in un ambiente del genere: mi sentirei ridicolo e fuori posto. Non mi interessa il lato commerciale che ormai ha fagocitato e banalizzato qualsiasi festa: trovo ridicolo e deleterio il rito collettivo e quasi liturgico dell’amore, la funambolica ostentazione di un sentimento così personale e intimo come se ce ne fosse davvero bisogno, come se altrimenti non esistesse, come se lo dovessimo sancire pubblicamente e apporvi un timbro di certificazione, la professione dell’amore come atto di fede a cadenza annuale. Sì, tutto ciò mi fa davvero ridere, oltre a preoccuparmi un po’.