Oltre L'anima

Post N° 63


“In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”.L’elemento nuovo è che al discorso sul pane si aggiunge quello sul vino, all’immagine del cibo quella della bevanda, al dono della sua carne quello del suo sangue. Il simbolismo eucaristico raggiunge il suo culmine e la sua completezza.Abbiamo visto sabato scorso, parlando del pane, che per capire l’Eucaristia è essenziale partire dai segni scelti da Gesù. Il pane è segno di nutrimento, di comunione tra coloro che lo mangiano insieme;  attraverso di esso giunge sull’altare e viene santificato tutto il lavoro umano...Ci poniamo la stessa domanda per il sangue. Cosa significa e cosa evoca per noi la parola sangue? Evoca in primo luogo tutta la sofferenza che c’è nel mondo. Se dunque nel segno del pane giunge sull’altare il lavoro dell’uomo, nel segno del vino vi giunge anche tutto il dolore umano; vi giunge per essere santificato e ricevere un senso e una speranza di riscatto grazie al sangue dell’Agnello immacolato. Ma perché per significare il dono del suo sangue Gesù ha scelto proprio il vino? Solo per l’affinità del colore? Cosa rappresenta il vino per gli uomini? Rappresenta la gioia, la festa; non rappresenta tanto l’utile (come il pane) quanto il dilettevole. Non è fatto solo per bere, ma anche per brindare. Gesù moltiplica i pani per la necessità della gente, ma a Cana moltiplica il vino per la gioia dei commensali. La Scrittura dice che “il vino allieta il cuore dell’uomo e il pane sostiene il suo vigore” (Salmo 104, 15). “Il vino rappresenta, nella vita, la poesia e il colore; è come la danza rispetto al semplice camminare, o il giocare rispetto al lavorare” (L. Alonso Schökel).Se Gesù avesse scelto, per l’Eucaristia, pane e acqua, avrebbe indicato solo la santificazione della sofferenza (“pane e acqua” sono infatti sinonimo di digiuno, di austerità e di penitenza). Scegliendo pane e vino, ha voluto indicare anche la santificazione della gioia. Come sarebbe bello se imparassimo a vivere anche le gioie della vita, eucaristicamente, cioè con rendimento di grazie a Dio. La presenza e lo sguardo di Dio non offuscano le nostre gioie oneste, al contrario le amplificano. Ma il discorso sul vino presenta anche un lato oscuro che non è lecito dimenticare, se si vuole che la gioia che esso simboleggia non si tramuti in rovina. Gli antichi dicevano: “Corruptio optimi pessima”, tanto più una cosa è buona, tanto più il suo abuso diventa pessimo”. Così avviene con il vino. Nella seconda lettura di domani ascoltiamo questo ammonimento dell’Apostolo: “Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito”. Nell’opera I racconti di un pellegrino russo, scritta in Russia alla fine del secolo scorso, si legge questa storia vera. Un soldato schiavo dell’alcool e minacciato di licenziamento va da un santo monaco a chiedergli cosa deve fare per vincere il suo vizio. Questi gli ordina di leggere ogni sera, prima di coricarsi, un capitolo del vangelo.  Lui si procura un vangelo e comincia a farlo con diligenza. Dopo un po’ però torna desolato dal monaco a dirgli: “Padre, io sono troppo ignorante e non capisco niente di quello che leggo! Datemi qualcos’altro da fare”. Lui risponde: “Continua solamente a leggere. Tu non capisci, ma i demoni capiscono e tremano”. Lui fece così e fu liberato dal suo vizio. Perché non provare?