Libertà Menomata

A proposito del mio mondo


 IL MURO Dal momento in cui si varca il muro di cinta di un carcere, un sentimento così intimo come quello della separazione dagli affetti più cari diventa subito lo stesso di tutta la popolazione detenuta. L'improvvisa e brutale separazione di persone che non erano preparate, giunge come una folgore che squarcia in due quello che fino a quel momento si credeva indivisibile. Una verità che si credeva conoscere si presenta in tutta la sua drammatica realtà. La resistenza del più forte e nobile sentimento, l'amore, si frantuma violentemente contro le pietre e il ferro del carcere. Il sentimento della separazione, sia per noi detenuti che per le nostre famiglie, diventa un sentimento prevalente che si oppone a tutti gli altri ed è come se si soffrisse doppiamente: prima della nostra sofferenza e dopo di quella che si immagina nei nostri cari. Proprio nei loro confronti riemergono passioni apparentemente rimosse: mariti che nutrivano un'immensa fiducia nelle loro mogli alimentano gelosia e possessione, uomini che pensavano di non amare scoprono forti legami con le loro amanti, padri che non stavano quasi mai con i loro figli ne sentono la mancanza e rimpiangono il passato, figli che non degnavano di uno sguardo le loro madri scoprono nei loro volti tutto il dolore e l'inquietudine. Immaginiamo il nostro focolare domestico covare sotto le ceneri del sentimento della separazione. I nostri cari chiusi nelle loro case con la loro vergogna, con la paura e il dolore, alimentando la disperazione più nera come colpiti da un lutto, seduti a tavola ad osservare quel posto vuoto. Le lenzuola fredde di un letto sempre in ordine. I nostri figli privati di quel bacio della buonanotte e delle carezze del giorno e le mogli distrutte dalla vana speranza.Gli effetti di questo terribile sentimento, per noi, segregati tra le anguste pareti di una cella, ci lascia sconcertati, incapaci di reagire al ricordo di persone care così presenti nel cuore, ma ormai così lontane nella vita.  In prigione, durante l'ora d'aria mentre si passeggia avanti e indietro o in cerchio nei cortili di cemento, durante le eterne attese dietro i cancelli, mentre si cammina a testa bassa scortati da agenti attenti e diffidenti nei lunghi corridoi, riversi sulla branda a fissare il soffitto ingiallito dal fumo delle numerose sigarette, affacciati alla finestra con la fronte appoggiata a una sbarra gelida dell'inferriata con lo sguardo sollevato al di là del muro di cinta, lontano verso la libertà perduta, durante la notte, nel buio e nel silenzio tombale delle proprie celle, sempre, in ogni momento emerge crudele il sentimento della separazione. È in tali circostanze che la condanna pesa addosso come un grosso macigno di granito. Tuttavia nessuno si abitua alla separazione, perché i carcerati intuiscono che l'abitudine alla separazione è più dura da sopportare della separazione stessa.L'amore dei carcerati assume uno strano aspetto, ci appare come un amore menomato. Il nostro amore, certamente è sempre quello, ma è sterile come il deserto. Gli sguardi languidi durante l'ora di colloquio, i volti brucianti dalle passioni, le dolci parole sussurrate con le labbra tremanti, mani nelle mani, un bacio casto e frettoloso e un abbraccio affettuoso non bastano a colmare un grande cuore d'amore. L'amore si riduce alla speranza. Come un cuore che si nutre dei suoi profondi tormenti. Una speranza scritta e riscritta in ogni lettera, ricevute e spedite, tra parole ricercate, poesie copiate o ispirate, tra saluti struggenti e baci senza fine. Quando giunge il momento della consegna della posta, ansiosi si attende l'agente davanti al cancello, col cuore stretto si spera che questa volta si fermi alla nostra cella. “Non c'è niente per lei”, avvinti dall'angoscia si ritorna sulla branda mentre il cuore trabocca di lacrime. Quando la cella viene condivisa con la solitudine delle passioni non c'è più confine tra la vita e la morte. Bisogna ammetterlo, il carcere ci toglie la facoltà dell'amore. L'amore, infatti, richiede un po' di futuro, per noi non c'è che la vastità del presente.