Libertà Menomata

Anniversario


 LA FINESTRA “Alla memoria di Guido” Per vent’anni, mai un appuntamento mancato, poco dopo che la pesante porta blindata si chiude sul cancello della cella, Guido si affaccia ogni sera alla finestra. Quest’ora serale, nell’ultima luce, quando i rumori del carcere lentamente si dissolvono, il tempo si avvolge su se stesso, le coscienze si scuotono, lacrime sparse del tutto inutili e vane; è questa l'ora in cui i carcerati colmano la loro anima di preghiere e speranze, o sfogano la loro inutile collera contro il loro cupo destino a cui sono costretti ad ubbidire.Dalla finestra della cella, del super carcere di (…), sezione Alta Sicurezza, aggrappato alle gelide sbarre, Guido, spinge lo sguardo e il pensiero oltre il muro. Oltre i confini della sua esistenza. Su quel mondo esterno, egli apre gli occhi dell’anima, insegue con tutte le sue forze le immagini di una libertà in cui una luce crepuscolare, una linea sinuosa di colline, un gruppo di case, una chioma fronzuta di un albero prediletto e il viso immaginato di una donna e di una bambina compongono la stessa cartolina.Il tempo di accarezzare una chimera e di colpo sente quanto sono strette le pareti nude della cella. Un’unica stanza in cui non c’è altro che un letto, uno sgabello, un tavolo, un cesso e un lavabo, ferro e cemento. Dopo la condanna all’ergastolo per strage, quella del treno 904, 16 morti e 131 feriti, percepì che la sua casa era quella cella, il suo unico mondo la prigione e la sua vita si sarebbe fermata lì. Uomo dal carattere taciturno e chiuso, dai lineamenti fini, dagli occhi grigi scavati, i capelli sempre pettinati, abbondanti quasi bianchi, educato, gentile e sorridente, se avesse avuto anche una minima responsabilità su quei fatti, doveva premere sulla sua coscienza il carico di un’enorme rimorso. Il rettangolo del cielo che vede dalla finestra ha dissipato le nuvole del giorno. Un manto di stelle, una luna molle, un vento profumato di libertà lo avvolge in questa notte senza fine. Sulla lastra di vetro, nella penombra, Guido osserva per l’ennesima volta la sua immagine grigia, mentre ode una voce. La riconosce, è la sua, che risuona nelle orecchie da moltissimi anni, sempre in quell’ora serale: “mi hanno lasciato solo la libertà di  uccidermi”. È molto difficile spiegare cosa siano le sere in prigione, cosa siano le privazioni di una cella, la solitudine, il silenzio delle passioni, il continuo confronto con se stessi e con la propria condanna e cosa tutto ciò possa far partorire in un cervello pensante. Guido appartiene a quella risma di prigionieri che, per sentirsi liberi, hanno deciso di vivere senza ricorso. Non c’è nulla di più doloroso di una condanna senza speranza, ma è proprio la negazione di questa speranza che fece di lui, per vent’anni, un “libero prigioniero”. Non ha mai aspettato nulla, né la scarcerazione e nemmeno la morte. Ma viene una sera in cui ci si stanca del carcere, dei carcerieri e dei carcerati e, non si chiede altro che l’eternità di un silenzio.Il lenzuolo bagnato annodato all’ultima sbarra dell’inferriata della finestra, addosso il vestito elegante, le scarpe di vernice, la foto della moglie e della figlia in tasca, un rosario tra le dita, un’ultima occhiata alla lastra di vetro, l’abbandono alla dolce indifferenza del mondo, prima del salto nel vuoto Guido pronuncia l’estrema sentenza: “Nella piena libertà. Nella mia indiscutibile qualità di giudice e di accusato, condanno questa vita, che, con una impudente sfacciataggine, mi ha fatto nascere per soffrire: io la condanno a morire insieme a me”. Addio amico caro. Che il tuo Dio ti perdoni.