L'uomo illustrato

La fortezza della solitudine


Nota questa è una recensione senza aver letto nulla (o quasi). È una questione di tempo (ho una pila di libri che potrebbe toccare il soffitto): probabilmente non lo farò a breve termine o forse non lo farò mai.  Però per motivi personali mi sono informato troppo, tanto che ho sentito l'obbligo di parlarne. Questo è solo un "giudizio" che mi sono costruito, a priori, che potrebbe anche cambiare, ma di sicuro sono stato sincero e molto meditativo.
Difficilmente prendo in considerazione seriamente i giudizi "esagerati" che critici e/o scrittori danno su opere di narrativa o saggistica, perché molte volte non rispondono affatto a verità, non per una qualsivoglia malafede, ma perché inficiati o dal sentimento dell'attimo o dall'amore per lo scrittore in questione o solo per la voglia di finire un articolo per una qualche rubrica periodica. Per La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem, Nick Hornby si è addirittura scomodato scrivendo: "È uno dei rari romanzi che ti fanno pensare che dovessero essere scritti; anzi, è uno di quei romanzi che trattano un tema così fondamentale che sembra impossibile non sia stato scritto prima. (…). È un libro triste, bellissimo, ardito, poetico e definitivo." (da Nick Hornby, Una vita da lettore). Viene da chiedersi, perché Nick Hornby si sia preso l'impegno di donare un giudizio tanto magnifico, ma anche tanto pesante.Lethem narra la storia di due amici, storia che si sviluppa durante trent'anni di vita a Brooklyn. Storia che serve a parlare di una questione fondamentale il razzismo e parte da una situazione paradossale un ragazzo bianco che si trova a crescere in un quartiere nero, ed è oggetto di un razzismo al contrario. Storia che si sviluppa e si trova incastrata in trent'anni di America, che cerca di catturare e non solo raccontare la cultura americana (dagli anni '70 in poi) parlando di tante, tantissime cose: dai graffiti alla musica, dai contrasti razziali  alle proteste per il Vietnam, dai fumetti e il mito dei supereroi alla droga, ma anche una storia intima e personale fatta principalmente di solitudini.A detta dei critici, Lethem abusa forse un po' troppo dello spazio che uno scrittore può prendersi a discapito del proprio editore e dei propri lettori (più di 500 pagine nell'edizione italiana), ma è un difetto che si può concedere quando un autore riesce a ricreare un'abientazione, che non è un solo un cartellone pubblicitario da usare come mero sfondo per i suoi protagonisti, ma è un affresco tridimensionale su cui molti personaggi sono di passaggio quasi come fosse la vita reale. Lethem è uno degli scrittori emblematici dell'avantpop, una corrente letteraria americana con tanti padri e tanti debiti (non a caso Lethem sostiene che gli artisti creano imitando e copiando). La fortezza della solitudine rappresenta il punto di maggior successo commerciale (e non solo) di Lethem, con cui ha supera l'etichetta di autore-di-culto-per-pochi. Personalmente considero Lethem un buono scrittore dotato di fervida vena creativa e ottima penna, che scrive in modo profondo, ma anche inaspettato, che genera pagine interessanti a cui il lettore deve dedicare tempo per seguirne la prosa, la storia, le idee. Forse per tutti questi motivi Lethem non può incontrare i gusti di tutti, ma questo non è un obbligo neppure per uno scrittore di razza.