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COSI', SOLA.

Post n°61 pubblicato il 08 Giugno 2009 da esperiMente

 

Mentre mi arrampicavo non pensavo a niente.

Anzi, è più giusto dire che cercavo di non pensare, nel tentativo di mantenere leggera almeno la mente, e ingannare un po' la gravità, che non mi era mai sembrata così forte.

Mi arrampicavo e cercavo di concentrarmi soprattutto sull'obiettivo, per non darmi continuamente della stupida e non sentire quello che ormai era diventato "IL DOLORE" arrivare per lunghissime strade a perforarmi il cervello.
Sanguinavano le dita e le ginocchia, mentre le labbra sputavano insulti a me, alla mia dannata pigrizia, e, già che c'ero, al mondo. Mai una corsa, mai un'ora in palestra, mai.
E adesso, abbarbicata a quella parete maledetta, faticavo enormemente, sporcando ogni centimetro di un sudore denso e appiccicoso, e rischiando di sfracellarmi.

Ogni tanto non resistevo,  guardavo in basso, e l'effetto della vertigine mi stordiva, compensato dalla nuova energia che mi dava vederlì là sotto, piccoli e neri, con le loro fionde e i binocoli, intenti a scrutare la roccia in cerca di scarafaggi testardi da castigare.

Io, scarafaggio testardo.

Io, amica dell'ombra, guadagnavo adagio il mio terreno.

Quando ho agguantato quel ramo e la mia gamba ha toccato il prato, il cuore era lì lì per scoppiare, ma ce l'ho fatta. Un ultimo sforzo ed ero distesa, stremata, finalmente orizzontale, con l'erba che si era fatta più morbida che mai, soltanto per me.

Ho alzato il viso, sporco e graffiato, e li ho visti.

Erano tutti là, con le loro coperte e i loro pic-nic. E le loro macchine nuove, pulite e le polo e i sorrisi e le torte e i bambini che giocavano a palla.

C'era il mio migliore amico, e la mia vicina di banco, e c'era mio cugino, ricordo. Quello con cui giocavo da piccola, che aveva la mia età e ne combinavamo una nuova ogni giorno, e sembravamo uguali, da piccoli, la stessa razza.  Sembravamo.
La stessa razza.

C'era un sacco di gente che conosco, l'allegra confusione di una gita estiva.
E c'ero io, sporca e sudata. E sanguinante.

Il mio migliore amico mi è venuto incontro: "Non avevo dubbi fossi tu. La solita testa dura. Te l'avevo detto di venire con noi. Dai, sciocca,  siediti qui. Bevi qualcosa, mangia. Adesso ti disinfettiamo, poi ti riposi un po'."

Io mi sono alzata piano, da sola, l'ho guardato, e non ho detto niente.
Non è che non gli volessi parlare, gli voglio bene, ma non ce la facevo, non mi usciva niente.

Lentamente mi sono allontanata, e di colpo era silenzio. Anche i bambini si sono fermati, e mi guardavano andare via.

I passi incerti.

Le spalle dritte.

Così, sola.

Più in là, lontano dagli sguardi, mi son fermata accanto ad un ruscello.
L'acqua era fredda e aggiungeva dolore, ma dopo un po' non sentivo più nulla.
Lì ho bevuto, lavato il sangue e le lacrime secche, e ho guardato per un po' l'acqua trasparente correre e restare sempre uguale.

Sdraiandomi sull'erba non pensavo a niente, poi un facile sonno mi ha portata via.

 
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Sindaco di Pollica (SA)

ucciso il 5 settembre 2010


Uccidendo Vassallo, la mafia non ha voluto solo difendere le attività legate al narcotraffico e all'edilizia. Ha ucciso un profeta. Un eletto dal popolo che affrontava con intensità e coraggio le disfunzioni più evidenti ella società contemporanea.

Alain Faure - direttore di ricerca Istituto di studi politici di Grenoble - LE MONDE 

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