espe dixit

buoni, per carità


Tutto ebbe inizio dalla fine.Eravamo intruppati in una lunghissima fila, al termine della quale si saliva su dei vagoncini tipo montagne russe, che finivano con un salto nel vuoto.Suicidio volontario di massa.Era l'unica alternativa ad una fine certa e terribile tra gli orrori dell'apocalisse. Lo annunciavano già i mass media da diversi giorni. Lo confermavano le nauseabonde sfumature di grigio solcate da lampi sintetici e azzurrastri, molto simili all'evento tossico aereo di cui stavo leggendo, che da giorni dal cielo brontolavano e ci sbeffeggiavano, irridendoci per la nostra misera condizione di formichine impotenti.Il nostro pianeta avrebbe presto vomitato il genere umano e, chissà, ogni forma di vita.Io recalcitravo, non volevo sottostare all'umiliante gesto di rassegnazione. Volevo lottare, discutere col destino fino alla fine, a costo di brutali sofferenze, ma la folla premeva, ed io ero sola, combattuta e debole, non riuscivo a districarmi e fuggire.Intanto, qualche metro più in là, avanzava per mano al padre, a testa bassa e senza guardarmi,  la mia figlia minore, che nella processione mortale non aveva voluto saperne di restare vicino a me. Dell'altra figlia nessuna traccia.Poco dopo ero al cospetto non di dio, ma del mio capo.Mi sgridava, guardandomi col consueto disprezzo, perché, nonostante il mio carico di lavoro fosse diminuito, non riuscivo a portare a termine i compiti affidatimi. Pochi, e per giunta semplici.Un istante di vuoto impalpabile, e poi mio marito sussurrò a mia figlia (questa volta la grande): "Facciamoci coraggio, la mamma deve avere una malattia brutta. Una persona sana non può avere un alito così."SE QUALCUNO MI VEDE ANCORA DEI PEPERONI NEL PIATTO LA SERA, MI SOPPRIMA, PLEASE.