espe dixit

SOGNO DI PRIMAVERA


 
Ho fatto uno strano sogno.Intanto ero bionda, indossavo una giacca bianca e tacchi a spillo.Dovevo incontrarmi con un tipo, esperto di arti marziali e tecniche di difesa personale. Con la saggezza di una mosca curiosa che vuol vedere da vicino come è fatta una ragnatela, gli arrivavo da dietro e, puntandogli un dito nella schiena dicevo "MANI IN ALTO", rischiando di dire addio al più lungo degli inverni miseramente schienata sul lastrico di piazza San Carlo.Per fortuna il buon uomo, che aspettava una brillante blogger di mezz'età, talmente sorpreso di trovarsi di fronte ad una mezza deficiente, soffocava l'istinto assassino e, mascherando perfettamente la delusione, mi portava subito a prendere un caffè.Rotto il ghiaccio, che sotto quei portici gelidi non avrebbe avuto difficoltà a farsi un baffo della novella stagione, ci incamminavamo senza meta  attraverso le bellezze architettoniche della mia città, lungo un percorso casuale di cui, da buona provinciale,   nel giro di cinque minuti  perdevo completamente possesso. Il mio gentile accompagnatore, seppur proveniente da terre lontane, accortosi della mia totale carenza di senso dell'orientamento, mi conduceva discreto verso il fiume, mostrandomi monumenti e palazzi, e intanto si riempiva le orecchie di chiacchiere inutili,  rimpiangendo in segreto le lunghe e solitarie ore che avrebbe altrimenti trascorso in un tranquillo e soleggiato parco cittadino.Ogni tanto lasciavo parlare anche lui, e a volte sentivo quella voce dallo strano accento pronunciare nomi che mi erano vagamente familiari, ma che, pur sforzandomi, non riuscivo a collegare ad alcun volto che avesse un senso. Solo strane figurine con dei pupazzetti. Uno soltanto richiamava alla mente un visetto di bimba dagli occhi furbi, una compagna delle elementari, forse.Mi portava, poi,  a pranzare in un ristorante molto carino e, con infinita pazienza, nello sguardo una punta di rassegnazione al pensiero di dovermi sopportare ancora un po', dopo mi accompagnava a prendere il treno, mentre i miei piedi si univano ai suoi timpani nel chiedere pietà. In via Po ci fermavamo a guardare le bancarelle e, casualmente, compravamo, per ricordo,  le uniche due copie dello stesso libro "La leggenda del santo bevitore" di Roth, e per lo stesso motivo: che non ce n'era un altro più sottile.Sul treno lo leggevo tutto e, giunta alla stazioncina del mio paese, guardavo da lontano la mia casa e, come sempre, pensavo:"ma quant'è bella!".Al mio risveglio ho imparato una lezione: mai mettere i tacchi a spillo in previsione di una passeggiata!