espe dixit

LEGGERO


Ho preso in mano il sassolino bianco, e con un gesto rapido l'ho posato in quello che sarà il suo posto.Lo conosco molto bene, quel sassolino, per averne ripetutamente soppesato i pochi grammi sul palmo della mano,  rigirandolo tra le dita e osservandolo da vicino,  nei giorni scorsi.A dir la verità non è neanche bianco, ma piuttosto di un avorio delicato con sfumature beige e qualche macchiolina più chiara. Bagnato, diventa di un marroncino caldo, e le macchie si notano di più.Non è di quelli che col tempo hanno assunto una forma quasi regolare, di quelli che uno di solito sceglie a colpo d'occhio e mette in tasca per portarsi a casa un pezzettino di un posto in cui ha amato stare, no. E' asimmetrico, invece, e lucido anche da asciutto. Un tempo aveva spigoli aspri e taglienti (almeno quattro, forse sei), diventati ora piccole punte smussate e rese tonde dal lavoro costante  e paziente di molti anni simili tra loro ma diversi, che gli danno un aspetto quasi morbido (morbida, una pietra? Bah!) e su un lato ha una piccola scheggiatura ondosa che gli ho probabilmente fatto io, lasciandolo cadere. L'ho messo nel vaso di una pianta, solo tra la terra scura, quasi nera, in un posto in cui è impossibile non vederlo ogni giorno.L'ho posato senza esitare dicendogli (parlare? A una pietra? Bah!) "Ecco, credo che qui starai bene". L'ho lasciato lì perché il contrasto violento ne faccia risaltare il pallore e la brillantezza discreta.Perché ogni tanto lo bagnerò e, per qualche ora,  cambierà colore. Perché guardandolo risentirò l'odore e il rumore di un passato buono.Perché si senta unico.L'ho messo lì anche perché si sporchi un po', che il troppo pulito mi sa di malattia.