espe dixit

la siepe


In fondo al mio giardino c'è una siepe. Non è una siepe di quelle massicce, impenetrabili, messe lì per nascondere qualcosa. No. E' una siepe leggera, permeabile, scarna, impoverita dall'incuria, che serve, o meglio, serviva, piuttosto, a dividere. Poi, gradatamente, col passare degli anni, la divisione ha perso senso e lei è rimasta lì, con il modo ostinato e paziente che ha la natura di ignorare l'opportunità.Ogni tanto una mano volenterosa ma incompetente prova a farle taglio e messa in piega, col risultato di celebrarne la bizzarra discontinuità dei contorni, proprio come faccio io con la chioma di mia figlia.Dietro quella siepe correva un piccolo viale, un secolo fa, ma il tempo se l'è mangiato; ogni chicco di ghiaia è sprofondato obbediente nella terra ingorda e un'erba densa e turgida ha ricoperto tutto, fino a congiungersi, in un lenzuolo sfumato di verdi, con l'edera che cammina gagliarda lungo il muro di fronte. Lì il sole non arriva. Non c'è un momento, nel loro vagabondare quotidiano, in cui i raggi tocchino il suolo. Anche nelle giornate più limpide e calde, rimangono impigliati a dondolarsi fra i rami di un noce antico che ha resistito con tenacia alle recenti intemperie, e trascurano, come se non fosse di loro competenza, quell'angolo scuro, che rimane, così, sempre umido e fresco, quasi una grotta dalle pareti imprecise.Lungo il muro è aggrappato anche il ricordo di una vite anziana, che fino a qualche anno fa regalava ancora qualche grappolo fitto di acini chiari e dolcissimi, prima di lasciarsi soffocare da un fogliame incolto, invadente e parassita, proveniente dall'altro fianco del vecchio muro scalcinato. I buoni frutti hanno bisogno di essere accuditi, altrimenti muoiono.In primavera quel tratto di giardino si ricopre di violette. E' inutile cercare di non pestarle, e di risparmiare la folla di insetti che abita il terreno ubertoso e molle. I passi lasciano segni come sulla neve, nel manto colorato e vivo. Impronte rare di falcate lunghe, tentativi di leggerezza pregni di buone intenzioni e crudeli al tempo stesso. Avventurandosi in quel posto, si ha quasi voglia di chiedere "permesso", di indossare le pattine sull'anima, per non disturbare la natura, opulenta padrona di casa, che riposa nel suo pigro disordine perfetto.Ogni tanto mi piace andarci, dietro quella siepe in fondo al giardino. E' l'unico luogo domestico in cui posso sentirmi veramente, piacevolmente sola, protetta dalle finestre curiose e al riparo dai richiami petulanti del mondo. Incontrarmi con gli angoli più ombrosi e intimi del mio essere, quelli che al sole, magari, farebbero male. Sedermi sulla sporgenza sporca di terra e foglie in compagnia di una sigaretta, e di una lieve inquietudine. Scrutare il terreno e gli anfratti del muro alla ricerca di insetti curiosi e piccole serpi. Sciogliere il nastro del pacchetto delle speranze segrete. Guardarle con un mezzo sorriso. Giocare a rincorrere dettagli che han voglia di essere acchiappati al volo. Succhiare l'aroma dolciastro della vita insieme a mille api. Spiare il cancello là in fondo, chiuso da vent'anni, e pensare "è da lì che potrei fuggire, se un giorno ne sentissi il bisogno". 
 [disegno di loscrittoree