favole e scorpioni

IL TESTAMENTO


Sono un vecchio rimbambito questo lo so anche da me. Dovrei scrivere il testamento e andarmene, questo solo dovrei fare, ma sono sempre stato un perditempo io, e ora non mi va. Ho sempre rimandato tutto, ogni decisione, ogni impegno, ogni appuntamento. Ho sempre aspettato che la vita, o gli altri decidessero  per me. Anche le cose importanti, quelle che mi stavano davvero a cuore, rimanevano come appese al cielo sulla mia testa, ed io mai mi sarei sognato d'allungare le braccia e afferrarle. E non era l'eventuale sforzo a impedirmelo, o la probabile fatica, ma la noia, semplicemente la noia.Ho conosciuto Barbara, mia moglie, che avevo già quarant'anni. Ricordo che camminavo per le vie del centro con le mani in tasca e fischiettavo quella canzone antipatica, come si chiama, la "Cucaracha": in assoluto la melodia più noiosa e ripetitiva mai scritta, una specie di solfeggio assurdo che se ti entra in testa non te ne liberi più per tutto il giorno. Io ero davanti ad una libreria intento più a specchiare la pelata al vetro che a leggere i titoli in vetrina e la canticchiavo tra me e me finchè lei, Barbara, non mi venne vicino:"La smetta per favore, mi deprime""Mi scusi, qual è il problema?"Quella canzone, basta, è noiosa".Aveva i capelli neri e gli occhi neri. La bocca era voluminosa ma il sorriso piccolissimo.Rimanemmo una buona ora a parlare davanti a quella libreria. Di canzoni, di musica e di libri. Fu lei ad invitarmi per un caffè, poi fu sempre lei ad organizzare incontri e serate. Non le chiesi di sposarmi nè lei lo chiese a me. Semplicemente lei scelse la data, ed io la domenica ero spesso libero.Da giovane sono stato un bel vecchio. Ho vissuto l'adolescenza e gli anni successivi senza acuti e pazzie. I miei genitori mi hanno impartito un'educazione d'altri tempi. Mio padre rigido ed ignorante inventava regole per ogni cosa. Urlava e agitava i pugni se non veniva ascoltato. "Alle 11.40 ti voglio a casa"."Se esci venerdi sera, non esci domenica pomeriggio".Se chiedevo perchè, un pugno da spaccare il tavolo era la risposta.Mia madre oltre che ignorante era apprensiva. In ogni angolo vedeva un pericolo, ogni oggetto poteva essere causa di ferite, se non di morte. Mio padre mi ha lasciato in eredità l'inerzia, mia madre la paura. Entrambi la vergogna. Io li ho amati tanto, ma mai quanto li abbia odiati. Con il lavoro non ho avuto maggiore fortuna. Una vita in fabbrica tra bulloni e brugole in catena di montaggio. Tutto il giorno con l'avvitatore in mano a montare un pezzo sul solito pezzo, senza mai costruire niente senza mai sbagliare nulla. Grottesca metafora della mia vita che ho compreso solo più tardi.Dopo quarant'anni di lavoro il mese scorso sono andato in pensione. Ora ho più tempo libero per non fare nulla.Seduto sulla panchina contavo i piccioni. Di solito non arrivavo a contarne quaranta che già mi stufavo. Poi però mi scocciava l'idea d' essermi fermato e ripartivo daccapo, per fermarmi però quasi subito. Alla fine contavo sempre gli stessi. I piccioni sono tutti uguali.Non gli davo mai da mangiare, mi sembrava una cosa da vecchi.Quel pomeriggio ero in piazza e non volevo tornare a casa. sapevo che mia moglie si vedeva con l'amante, il ragioniere del piano di sopra. Io ho sempre fatto finta di non sapare, d'altronde stavo bene con lei, parlava poco e non era mai a casa.Così quel pomeriggio ero in piazza, contavo i piccioni, sbadigliavo e perdevo tempo. Poi una melodia provenire dal bar di fronte attirò la mia attenzione: era la "Cucaracha".Entrai in quel caffè per la prima volta proprio quel giorno dopo quarant'anni, e una donna minuta e carina mi accolse da dietro il bancone. Aveva i capelli biondi e gli occhi chiari. La bocca era piccola ma il sorriso enorme. Si chiamava Barbara.Rimanemmo una buona ora a parlare di tutto di niente e di piccioni. Non le chiesi se fosse sposata, non mi domandai se avesse figli o sogni.Mi diede un bacio, questo è tutto quel che so.Mi diede un po' del suo tempo, questo è ciò che ricordo.I piccioni sono tutti uguali, almeno in apparenza. Gli uomini, si mischiano e vivono in gruppo, in perfetta solitudine. Tutti uguali.Forse a scavare qualche differenza si trova ma di fuori vedi la noia,  la solita musica.Barbara è morta. Tutti i suoi soldi quelli che ha guadagnato con il bar in una vita mai spesa li ha lasciati a me, l'ultimo piccione tra i tanti ciondolanti al suo bancone.Io sono un vecchio  rimbambito questo lo so anche da me. Dovrei scrivere il testamento e andarmene, questo solo dovrei fare, ma cammino e fischietto per strada, nella speranza che ancora succeda qualcosa.In fondo andrebbe bene anche la solita solfa.