Ricevo da Giovanni Colombo e pubblico questa sua riflessione che potrete trovare anche sul nuovo numero di "Appunti di cultura e di politica".Milano si è aggiudicata l’Esposizione universale del 2015, battendo nettamente la concorrente Smirne, e tutti sono contenti: il sindaco Moratti che l’ha testardamente voluto, i milanesi che sono orgogliosi di vedere la città balzare di nuovo agli onori della cronaca, i commercianti che sperano in negozi pieni, i costruttori milanesi che pregustano ottimi affari, le opposizioni che già preparano «expo-sti» alla magistratura. Esulta Carlin Petrini, il guru di Slow food, perché il tema è proprio il suo: «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Si agita l’ ‘ndrangheta perché il piatto è molto ricco. I big numbers in effetti fanno impressione: 4,1 miliardi di euro di investimenti solo per la sede e l’organizzazione dell’evento; 29 milioni i visitatori previsti; 120 i paesi espositori; 70 mila i nuovi posti di lavoro. L’Expo sarà dunque il pensiero fisso dei prossimi anni. E se c’è qualcuno indisposto che vuole evitare di esporsi, che teme la luce e preferisce l’ombra, si metta il cuore in pace. Non ci saranno buchi in città che non saranno raggiunti dal tripudio universale, tra concerti, torpedoni, treni speciali, schermi giganti, botti vari. Non ci sarà a disposizione nessuna via di fuga.Un nuovo rinascimento?Le esposizioni universali sono manifestazioni di natura non commerciale, gestite dal Bie (Bureau international des expositions), che si tengono ogni cinque anni, per una durata di sei mesi, e che trattano temi generali che interessano la gamma completa dell’esperienza umana. Così recita la definizione ufficiale, che però dice tutto e dice niente. E’ certamente più utile vedere la storia delle esposizioni universali per tentare di capire quel che ci succederà.Gli studiosi la dividono in tre periodi.Il primo - la fase d’oro degli albori – inizia da Londra 1851 - la Great exibition of the works of industry of all nations, passa, per ricordare le esposizioni più famose, da Parigi 1889 (che celebra l’anniversario della rivoluzione francese con la costruzione della tour Eiffel) e 1900 (che vedrà il trionfo del cinema dei fratelli Lumière); Milano 1906 (il tema fu quello dei trasporti per festeggiare l’apertura del traforo del Sempione) e San Francisco 1915 (la Panama – Pacific international exposition fu organizzata per testimoniare la rinascita della città dopo il terremoto del 1906) e si chiude con un’altra esposizione parigina, l’Exposition des arts et techniques dans la vie moderne del 1937. Tutte le esposizioni del periodo sono focalizzate sull’espansione del commercio e dell’industria, nonché sulla presentazione al pubblico di invenzioni tecniche.Il secondo periodo – l’età di mezzo - va dalla World’s fair di New York del 1939 e passando da Bruxelles 1958 (Bilancio di un mondo, per un mondo più umano), con la realizzazione dell’Atomium, e Montreal 1967 (L’uomo e la sua terra) arriva fino alle esposizioni degli anni ottanta: esse si caratterizzano per un’impronta futuristica e utopistica, per essere un carnevale della tecnologia, una gara a chi la inventa più grossa per lasciare il mondo a bocca aperta.Il terzo periodo - la fase attuale - è stata inaugurata dall’Exposiciòn universal di Siviglia nel 1992 e passando per Shangai 2010 arriverà appunto fino a noi. In quest’ultima fase, l’Expo cambia forse definitivamente la sua funzione: sta diventando a tutti gli effetti un grande evento d’impatto globale in funzione della promozione economica della nazione e della città ospitante. Il cambiamento quindi è radicale. L’Expo non è più un luogo di pellegrinaggio al feticcio merce, per usare un’espressione del filosofo tedesco Walter Benjamin. Oggi nessun prodotto diventa l’orgoglio di una nazione, di una città, di una ditta o di un genio individuale transitando sui banchi delle esposizioni. La gente non si muove più per veder le merci, le trova su Internet, che è l’universo senza frontiere in perenne esposizione e, ovviamente, in vendita. E a competere con internet sono rimaste solo le strade-vetrina di quelle città del mondo – New York, Londra, Parigi - che ogni mattino reinventano il mondo. Nell’Expo di oggi è il contenitore - città che prevale sul contenuto – merce.L’esposizione diviene la scossa tellurica per città addormentate, che da sole non ce la fanno a rimettersi in piedi. Costringe come minimo ad auscultarsi, a guardarsi allo specchio, a farsi il check up e può produrre un ripensamento, un cambiamento.
Il cosmo sul comò (ovvero l’Expo 2015)... Milano-Eufemia
Ricevo da Giovanni Colombo e pubblico questa sua riflessione che potrete trovare anche sul nuovo numero di "Appunti di cultura e di politica".Milano si è aggiudicata l’Esposizione universale del 2015, battendo nettamente la concorrente Smirne, e tutti sono contenti: il sindaco Moratti che l’ha testardamente voluto, i milanesi che sono orgogliosi di vedere la città balzare di nuovo agli onori della cronaca, i commercianti che sperano in negozi pieni, i costruttori milanesi che pregustano ottimi affari, le opposizioni che già preparano «expo-sti» alla magistratura. Esulta Carlin Petrini, il guru di Slow food, perché il tema è proprio il suo: «Nutrire il pianeta, energia per la vita». Si agita l’ ‘ndrangheta perché il piatto è molto ricco. I big numbers in effetti fanno impressione: 4,1 miliardi di euro di investimenti solo per la sede e l’organizzazione dell’evento; 29 milioni i visitatori previsti; 120 i paesi espositori; 70 mila i nuovi posti di lavoro. L’Expo sarà dunque il pensiero fisso dei prossimi anni. E se c’è qualcuno indisposto che vuole evitare di esporsi, che teme la luce e preferisce l’ombra, si metta il cuore in pace. Non ci saranno buchi in città che non saranno raggiunti dal tripudio universale, tra concerti, torpedoni, treni speciali, schermi giganti, botti vari. Non ci sarà a disposizione nessuna via di fuga.Un nuovo rinascimento?Le esposizioni universali sono manifestazioni di natura non commerciale, gestite dal Bie (Bureau international des expositions), che si tengono ogni cinque anni, per una durata di sei mesi, e che trattano temi generali che interessano la gamma completa dell’esperienza umana. Così recita la definizione ufficiale, che però dice tutto e dice niente. E’ certamente più utile vedere la storia delle esposizioni universali per tentare di capire quel che ci succederà.Gli studiosi la dividono in tre periodi.Il primo - la fase d’oro degli albori – inizia da Londra 1851 - la Great exibition of the works of industry of all nations, passa, per ricordare le esposizioni più famose, da Parigi 1889 (che celebra l’anniversario della rivoluzione francese con la costruzione della tour Eiffel) e 1900 (che vedrà il trionfo del cinema dei fratelli Lumière); Milano 1906 (il tema fu quello dei trasporti per festeggiare l’apertura del traforo del Sempione) e San Francisco 1915 (la Panama – Pacific international exposition fu organizzata per testimoniare la rinascita della città dopo il terremoto del 1906) e si chiude con un’altra esposizione parigina, l’Exposition des arts et techniques dans la vie moderne del 1937. Tutte le esposizioni del periodo sono focalizzate sull’espansione del commercio e dell’industria, nonché sulla presentazione al pubblico di invenzioni tecniche.Il secondo periodo – l’età di mezzo - va dalla World’s fair di New York del 1939 e passando da Bruxelles 1958 (Bilancio di un mondo, per un mondo più umano), con la realizzazione dell’Atomium, e Montreal 1967 (L’uomo e la sua terra) arriva fino alle esposizioni degli anni ottanta: esse si caratterizzano per un’impronta futuristica e utopistica, per essere un carnevale della tecnologia, una gara a chi la inventa più grossa per lasciare il mondo a bocca aperta.Il terzo periodo - la fase attuale - è stata inaugurata dall’Exposiciòn universal di Siviglia nel 1992 e passando per Shangai 2010 arriverà appunto fino a noi. In quest’ultima fase, l’Expo cambia forse definitivamente la sua funzione: sta diventando a tutti gli effetti un grande evento d’impatto globale in funzione della promozione economica della nazione e della città ospitante. Il cambiamento quindi è radicale. L’Expo non è più un luogo di pellegrinaggio al feticcio merce, per usare un’espressione del filosofo tedesco Walter Benjamin. Oggi nessun prodotto diventa l’orgoglio di una nazione, di una città, di una ditta o di un genio individuale transitando sui banchi delle esposizioni. La gente non si muove più per veder le merci, le trova su Internet, che è l’universo senza frontiere in perenne esposizione e, ovviamente, in vendita. E a competere con internet sono rimaste solo le strade-vetrina di quelle città del mondo – New York, Londra, Parigi - che ogni mattino reinventano il mondo. Nell’Expo di oggi è il contenitore - città che prevale sul contenuto – merce.L’esposizione diviene la scossa tellurica per città addormentate, che da sole non ce la fanno a rimettersi in piedi. Costringe come minimo ad auscultarsi, a guardarsi allo specchio, a farsi il check up e può produrre un ripensamento, un cambiamento.