Gryllo73

Meriggio


A mezzo il giorno sul Mare etrusco pallido verdicante come il dissepolto bronzo dagli ipogei, grava la bonaccia. Non bava di vento intorno alita. Non trema canna su la solitaria spiaggia aspra di rusco, di ginepri arsi. Non suona voce, se acolto.
Riga di vele in panna verso Livorno biancica. Pel chiaro silenzio il Capo Corvo l’isola del Faro scorgo; e più lontane, forme d’aria nell’aria, l’isole del tuo sdegno, o padre Dante, la Capraia e la Gorgona. Marmorea corona di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte. La foce è come salso stagno. Del marin colore, per mezzo alle capanne, per entro alle reti che pendono dalla croce degli staggi, si tace. Come il bronzo sepolcrale pallida verdica in pace quella che sorridea.
Quasi letèa, obliviosa, eguale, segno non mostra di corrente, non ruga d’aura.La fuga delle due rive si chiude come in un cerchio di canne, che circonscrive l’oblío silente; e le canne non han susurri. Più foschi i boschi di San Rossore fan di sé cupa chiostra; ma i più lontani, verso il Gombo, verso il Serchio, son quasi azzurri. Dormono i Monti Pisani coperti da inerti cumuli di vapore. Bonaccia, calura, per ovunque silenzio. L’Estate si matura sul mio capo come un pomo che promesso mi sia, che cogliere io debba con la mia mano, che suggere io debba con le mie labbra solo. Perduta è ogni traccia dell’uomo. Voce non suona, se ascolto. Ogni duolo umano m’abbandona. Non ho più nome. E sento che il mio vólto s’indora dell’oro meridiano, e che la mia bionda barba riluce come la paglia marina; sento che il lido rigato con sì delicato lavoro dell’onda e dal vento è come il mio palato, è come il cavo della mia mano ove il tatto s’affina. 
E la mia forza supina si stampa nell’arena, diffondesi nel mare; e il fiume è la mia vena, il monte è la mia fronte, la selva è la mia pube, la nube è il mio sudore. E io sono nel fiore della stiancia, nella scaglia della pina, nella bacca, del ginepro: io son nel fuco, nella paglia marina, in ogni cosa esigua, in ogni cosa immane, nella sabbia contigua, nelle vette lontane. Ardo, riluco. E non ho più nome. E l’alpi e l’isole e i golfi e i capi e i fari e i boschi e le foci ch’io nomai non han più l’usato nome che suona in labbra umane. Non ho più nome nè sorte tra gli uomini; ma il mio nome è Meriggio. In tutto io vivo tacito come la Morte. E la mia vita è divina.G.D'Annunzio