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Africa e Cina


Cina versus Africa di Marco Zoboli A Sharm El Sheikh si è concluso il 4° Foro sulla Cooperazione Cina – Africa (Focac), e possiamo dire che si è concluso all’insegna di un balzo in avanti nei rapporti politici, economici e sociali. E’ stato approvato un piano di Azione triennale che riguarda il rilancio di settori strategici quali l’alimentare (industriale e distributivo), l’agricoltura (industrializzazione del settore), finanziario e dei trasporti. Il primo ministro cinese Wen Jiabao ha inoltre annunciato la concessione di prestiti per un montante di dieci miliardi di dollari finalizzati al rafforzamento delle capacità finanziarie del continente, che si legano al richiamo verso le proprie imprese nell’assumere “maggiori responsabilità sociali” per fomentare sviluppo e impiego a beneficio del popolo africano. Aspetto non secondario inoltre è l’impegno da parte cinese a una graduale riduzione dei dazi sui prodotti delle aree del continente più povere. Questi sono aspetti importantissimi per la parte africana, che celano però le “energie” e gli obiettivi cinesi sul continente. Nel 2003 gli investimenti cinesi in africa ammontavano a 490 milioni di dollari, dopo cinque anni, nel 2008, la cifra è più che decuplicata arrivando a 7 miliardi e 800 milioni di dollari; la esponenzialità degli investimenti cinesi è direttamente proporzionale alla esponenzialità della loro domanda di petrolio, gas e materie prime. L’Istituto Sudafricano di Affari Internazionali ha calcolato che l’83% delle esportazioni africane in Cina nel 2007 riguardavano prodotti energetici. La Cina a oggi importa dall’Africa il 25% del proprio fabbisogno petrolifero e con estremo pragmatismo si appresta ad ampliare le importazioni erodendo fette di mercato ai paesi occidentali offrendo non specchi per le allodole ma impegni concreti nello sviluppo del continente. L’approccio cinese nei rapporti con il continente africano è all’insegna della non ingerenza negli affari ed equilibri interni, che rappresenta una rottura storica con il secolare saccheggio dell’imperialismo occidentale, che tuttora ricerca il massimo utile possibile addomesticando governi con corruzione, pressioni politiche, economiche e militari, come recentemente ci ricorda la nascita del Comando Unificato per l’Africa (Africom) in seno all’esercito statunitense. Nella ridefinizione degli equilibri geostrategici, l’Africa rappresenta uno degli anelli più deboli e indifesi; la costante perdita d’influenza geopolitica da parte degli Stati Uniti accentua il suo carattere espansionista e aggressivo che verosimilmente si scaricherà nelle aree geostrategiche più fragili. L’avanzata cinese apparentemente inarrestabile, condotta con intelligenza e nel rispetto dei partner confligge con i propositi statunitensi di spoliazione delle risorse energetiche africane, che come dichiara il National Intelligence Council dovrebbero rappresentare entro il 2015 il 25% del fabbisogno del decadente impero del nord. Il processo d’integrazione latinoamericano può rappresentare un esempio lampante di come il continente africano potrebbe uscire dall’angolo e mutare da preda a soggetto politico autonomo e indipendente nel mondo multipolare che si sta velocemente definendo. Le asimmetrie interne ai paesi africani sono molto più profonde di quelle dei paesi latinoamericani, come più profonde sono le differenze culturali e linguistiche, ma questo rappresenta un ostacolo superabile se si dialettizza in chiave regionale. L’asse sud-sud che sta nascendo tra molte nazioni africane e sudamericane sotto la spinta ideologica e politica della Repubblica Bolivariana del Venezuela e del Brasile può rappresentare un arricchimento politico cultural4e decisivo. Nel settembre di quest’anno nell’Isola Margherita (Venezuela) i capi di Stato latinoamericani e africani hanno sottoscritto la volontà di continuare nel progetto strategico di “cooperazione sud-sud”, è un primo passo…