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Fabricando fantasias
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«Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c'è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia»
(Enrico Berlinguer)
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« L' Orgoglio Nazionale | Vittorio Mangano non è u... » |
Post n°215 pubblicato il 10 Aprile 2012 da fabpat72
L'identità siciliana - Amore e Odio per questa Terra Partire o restare, abbandonare questa terra o dimostrare che restando in sicilia qualcosa si può cambiare. Interrogativi che hanno avuto sempre la stessa risposta, restare in quest'isola, terra dalle due facce. La prima splendida, ammaliatrice, intrigante, folcloristica, caratterizzata da splendide spiagge, con un mare da favola, abitate da persone calorose che se riesci a rientrare nel loro cuore ti aprono le porte di casa loro e poi da una storia che rende questa terra un museo all'aria aperta. La seconda faccia , quella più triste che riesce a fare allontanare, odiare e cancellare tutte le cose belle che la prima faccia ci aveva mostrato. E' la faccia dell'omertà, dell'abusivismo, del pizzo, della disoccupazione, della corruzione, dell'economia cattiva, che allontana i vari investitori da questa terra cosi maltrattata, è la vecchia storia di lievitazione continua dei costi , dei lavori mai ultimati o eseguiti male, per potervi reintervenire. Partire o restare, questa scelta è legata a due fattori chiave, c'è l'odio verso questa terra che non ti permette di realizzare i tuoi sogni e vivere una vita dignitosa nel paese in cui sei nato e l'amore che in ogni caso nutri per essa, perchè nessun posto potrà mai essere più bello della tua terra. I Faraglioni di Acitrezza: tra leggenda e storia La leggenda, nell'Odissea di Omero, narra che durante il suo viaggio di ritorno verso Itaca, Ulisse, approdò sull’isola dei ciclopi dove venne ospitato dal terribile signore del luogo Polifemo. Il dio del fuoco era solito lavorare insieme ad altri ciclopi all’interno del vulcano Etna, dove venivano creati i fulmini utilizzati da Zeus. Durante questo soggiorno il terribile gigante mangiò molti dei compagni di Ulisse, il quale per riuscire a salvarsi lo fece ubriacare e gli accecò l’unico suo occhio. Il terribile gigante, infuriato, cercò di punirlo lanciandogli le cime di alcuni monti che vengono oggi identificati con i Faraglioni. Fu Euripide che identificò i Faraglioni come la terra che separa l’Etna dal mare. Allontanandoci dalla leggenda, i Faraglioni (otto pittoreschi scogli che fuoriescono dal mare), costituisco la più importante traccia dell’attività vulcanica dell’Etna. 500mila anni fa vi fu, infatti, la prima eruzione del vulcano che fece innalzare la lava fin sopra il livello del mare e i faraglioni costituiscono oggi i resti di questa terribile eruzione. Il più grande di questi scogli è conosciuto con il nome di “Isola Lachea” oggi riserva protetta che ospita diverse specie animali. I faraglioni donano al panorama circostante un'atmosfera di eccezionale bellezza che lascia a bocca aperta e senza fiato, un panorama che certo nessun buon catanese doc, che si rispetti, può permettersi di non conoscere o può negare di aver guardato almeno una volta nella vita con stupore e meraviglia. I Malavoglia e l'ideale dell'ostrica Questi incantevoli luoghi hanno ispirato la penna di un altro grande scrittore, stavolta siciliano e più vicino ai tempi nostri: Giovanni Verga. Aci Trezza ha posato per lui e ha offerto l’ambientazione al grande romanzo de I Malavoglia che descrive con accuratezza i luoghi ancora oggi riconoscibili ad Aci Trezza (la casa del nespolo, la chiesa e le strade del paese). Alla base del pensiero di Verga c'è la concezione secondo la quale gli uomini sono sottoposti ad un destino impietoso e crudele, che li condanna non solo all'infelicità e al dolore, ma anche ad una condizione di immobilismo nell'ambiente familiare, sociale ed economico in cui si sono trovati nascendo. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, anzi va immancabilmente incontro a sofferenze maggiori, come succede a 'Ntoni Malavoglia e a Mastro don Gesualdo. Quindi all'uomo non rimane che una vita immobile e rassegnata come lo stesso Verga sottolinea con "l' ideale dell'ostrica" secondo il quale la gente è abituata come l'ostrica che vive fino a quando è attaccata allo scoglio e quando si stacca, il mare come un pesce vorace la ingoia. (Acitrezza, paese di pescatori, negli anni '60) La terra trema di Luchino Visconti Originariamente ideato come uno dei tre documentari che L. Visconti doveva girare per aiutare la campagna propagandistica del Partito comunista italiano in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, finì per essere il film capolavoro neorealista, interpretato dai pescatori e dalle famiglie di Acitrezza, ispirato al romanzo di Giovanni Verga "I Malavoglia". Il film neorealista, girato in bianco e nero, venne interpretato esclusivamente da attori non professionisti, tutti pescatori e abitanti di Acitrezza, che recitavano in dialetto locale, le riprese cominciarono nell'autunno del 1947. Nel 1948 distribuito nelle sale cinematografiche, il film della durata di 160', non ebbe il sospirato successo commerciale, gran parte per l'incomprensibilità del dialetto parlato dagli interpreti. Nacque, quindi, una seconda versione dalla durata di 105', nella quale gli interpreti furono doppiati con un dialetto siciliano più comprensibile. La pellicola, considerata uno dei capolavori di L. Visconti, è stata recentemente restaurata e ad Acitrezza a quasi mezzo secolo di distanza dalla realizzazione del film, è stata dedicata, al grande regista, una delle piazze centrali del paese, accanto quella intitolata a G. Verga. (La terra trema 1948 - Episodio del mare) |
Spero che almeno tu...saprai cosa fare!!!
Un augurio perchè possa decidere la cosa più giusta!!!marì
È un invito a nozze, per me, parlare della nostra Terra.
Un cordiale saluto.
Pino ’A Trinacria
«Sia fattu 'u celu. E po' 'a terra e 'u mari.
Sianu fatti chiantimi. E po' tutti l'armari.
E ora, di mari, pigliamuninni un pezzu:
ci mittemu 'sta beddra Isula nu mezzu.
Tri lati av'a d'aviri cumu qualità,
p'arriurdari a tutti, 'a Nostra Trinità.
Di tutt'i cosi: 'i cchiù beddri e cchiù rari.
E ca friddu e callu 'un s'hann' a sciarriari.»
'U malignu, mmidiusu e sconzajocu,
ci vonzi mettiri du so puru ddrocu:
Tri erbi chiantà 'e lati, pi malidizioni:
"mafia", "munnizza" e "maladucazioni."
Di tannu 'sta beddra isula è 'mpistata
di 'sti irbazzi, ca l'hannu ruvinata.
Ma 'a genti onesta dici no a 'stu jocu
e tutti 'sti irbazzi li va jetta nu focu.
(Pino Bullara)
Galatea ed Aci
Candida come il latte era la sua pelle,
delle Nereidi la più bella tra le belle.
La ninfa era amata del pastorello Aci,
lei ricambiava l'amore coi suoi baci.
Anche Polifemo di lei s'era invaghito,
e di eliminare il suo rivale aveva ordito:
preso un masso glielo scagliò addosso,
seppellendo Aci sotto un grande fosso.
Galatea, per la disgrazia, era avvilita
e supplicò gli Dei di riportarlo in vita.
Il volere degli Dei così venne decretato:
il giovane Aci in fiume fu trasformato.
Da quel masso unto di sangue innocente
ne uscì acqua fresca e chiara di sorgente.
Lieta Galatea, come ninfa delle acque,
si unì all'amato e accanto a lui giacque.
(Pino Bullara)
Polifemo e i faraglioni di Acitrezza.
“Ciclope! Se ti chiederanno chi ti ha accecato,
sappi che “Nessuno” è un nome inventato;
Odisseo, figlio di Laerte e di Itaca signore,
ti ha tolto la vista, ti ha dato questo dolore.”
A Polifemo la rivelazione più rabbia inflisse,
e scagliò dei massi contro la nave di Ulisse;
i massi scagliati, però, finirono tutti in mare,
così il Laerziade con i suoi si poté salvare.
A scagliare rupi il gigante era già abituato,
come quando fu di Aci, che aveva lapidato.
Senza la vista, ora la sua forza non servirà,
e nel buio più profondo i suoi giorni finirà.
Le rupi, però, rimarranno in mezzo al mare,
e il loro effetto il ciclope non potrà mirare:
l'azzurro del mar, il sole e la loro bellezza,
daranno un'atmosfera incantata ad Acitrezza.
(Pino Bullara)