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Le fate lacrimanti dello jazzo Valli Cupi


 Le fate lacrimanti dello jazzo Valli Cupi Di jazzi Nelle valli del monte Bulgheria, salendo verso la cima, a un certo punto si vede il mare. Appare all’improvviso e nelle giornate terse, così in quelle di tempesta, non c’è differenza tra il cielo e l’acqua. È un azzurro che ferma la prospettiva, restituisce la quiete. Di notte quando il mare si fa oscuro quella linea viene demarcata solo dalla presenza delle stelle. La del monte è il punto in cui le stelle sembrano più vicine perché la notte si appiattisce sullo sguardo, il cielo sembra un lenzuolo sulla testa. La cima del monte diventa, oggi come ieri luogo dell’irraggiungibile. Meta e nascondiglio dei sogni e dei timori. Leggenda vuole che sulla cima del monte si nascondessero le fate che avevano scelto il luogo della quiete e dell’irrazionale come dimora. Le fate sono descritte ora come stelle, ora nuvole, ora come lampi. Sono lontane dal paese e silenziose. Le fate sono figure della leggenda che intrecciano la loro geografia e comparsa e magia con la bellezza dei cieli stellati. Sono compagne delle notti dei pastori, inventrici di incanti, tessitrici di nuvole, in grado di determinare le sorti del tempo e dell’agricoltura. A volte raffigurate come muse, esseri mitologici incastonati in cielo per essere protette dalle divinità che volevano sedurle, le fate lacrimanti sono la versione pagana e pastorale delle Pleiadi e con esse condividono lo stesso potere: splendere nella notte, illuminare il cammino del pastore, fare compagnia nella contemplazione, determinare le precipitazioni e l’esito delle semine. Ma anche far spuntare funghi, favorisce quegli incanti che natura regala. Per questo motivo il cercatore batte gli stessi sentieri che ogni volta possono portare s nuove scoperte. Le erbe e le orchidee selvatiche, i muschi che costeggiano i sentieri ritornano così annualmente a un disordine quasi magico. La logica corrente attribuisce questa casualità al cambiamento del clima, dei venti e delle perturbazioni. La leggenda invece racconta che anche il clima sia prodotto di quelle stesse magie. E nulla è più magico della pioggia, proprio perché in terra di siccità, intrecciare correttamente le nuvole significa offrire una garanzia di erbe, fiori e frutti per gli animali. I boschi di ulivi sono abitati da queste leggende, che raccontano di quiete, solitudine e meditazione, rendendo questi sentieri oggi preziosi cammini, e al  contempo, luoghi di ristoro notturno. Jazzo non a caso deriva da jacere, giaciglio, luogo del riposo e Valli Cupi rappresenta il punto di meditazione principale, ma anche il punto di maggior rigogliosità e pioggia: la cima della montagna. Così dalla vetta notti chiare di primavera, quando le Pleiadi sembrano più vicine, e le lucciole confondono gli occhi degli osservatori, qualcuno sente ancora la presenza del magico, che rende il reale più soffice e la sosta irripetibile. Dove la notte è più buia, quel Cupi così forte diventare toponimo, le stelle sono una giuda potere per riposo solitario e per la festa, per le zampogne e per le ciaramelle, ma anche per i grilli e le cicale in quel nero talmente nero, da far dimenticare che lì, davanti agli occhi c’è il mare.   (dal Web)