DIRE O NON DIRE

dolore


                                                           doloreCi sono dei dolori talmente forti che tolgono il fiato. Non respiri, la gola chiusa. Sei li, come pietra dimenticata. Nulla sostieni e nessuno ti vede. Non sei sasso d’acqua che si distingue per lucentezza o per forma, in un mare, che, un gioco infinito, ha sagomato. Sei solo intralcio. Una pietra di mezza misura, avanzo di qualcosa di grande, rotolata da sola lontano, un invito ad un calcio maldestro che ti isoli ancora di più. Un cuore sordo alla fede e un’anima cieca “a ogni Dio”. Un’ atea isolata, come pianta in quarantena, invidiosa, a volte, di un cielo che non parla, solo per lei. Al tempo dell’ingenuità, prima che i contorni si definissero precisi e limati, ci fu spazio per consolazione e conforto. Una chiesa deserta, in tua attesa, in ogni posto del mondo, o un coro di parole ferventi in lingue lontane, ma tue. L’insegnamento diceva che basta un cuore sincero, anche scevro e lontano da riti o preghiere, per avere tutto il Suo ascolto. Così, a volte, è successo, che pur con certezza di non avere né padri né madri nei cieli, rivolgevo lo sguardo chiedendo “perché Signore? Perché? “ pur sapendo di non ottenere né risposta né conforto. Quando cresci in un famiglia cattolica, difficilmente riesci, pur discostandoti razionalmente dalla religione, a non tornare bambina nei momenti di dolore con la speranza di essere presa per mano. Ma poi l’illusione ti lascia e sei di nuovo seduta su una panchina, in silenzio e senza risposte, mentre fissi con caparbietà il suolo.