DIRE O NON DIRE

HO CONOSCIUTO ALDA MERINI


Ho conosciuto Alda Merini...
Ho conosciuto Alda Merini. Sedeva per ore, al tavolino del bar.. in Brera, senza attirare l’attenzione. Nemmeno quella di Camilla Cederna che entrava e usciva elegantemente, lasciando dietro sé profumo di cultura, superiorità e autorevolezza. Del resto, già nel ’48, il direttore de“L’Europeo”, Arrigo Benedetti, aveva affidato proprio a lei il compito di rimettere in sesto Gianfranco Fusco, arrivato a Milano coi pantaloni tenuti su da un fil di ferro, i sandali sfasciati e i denti persi in un passato da pugile. Intuitiva, coraggiosa e decisa, con abilità e determinazione aveva riaggiustato e rinnovato lo scrittore da capo a piedi, dentiera compresa. Un giorno, la giornalista, che aveva praticamente costretto alle dimissioni il presidente G. Leone, qualche mese prima della scadenza naturale del mandato, scoprendo che avevo letto quasi tutti i suoi libri, mi chiese se gradissi una dedica. Pur non particolarmente interessata ad una firma veloce sotto al mio nome, accettai, considerando ineducato un diniego. Anche quel giorno in tailleur, si sedette comodamente e, lasciandomi sorpresa, scrisse su ogni libro parole soppesate e personalizzate a seconda del volume o dei miei commenti a fine testo. Parole, spazi e punteggiatura calibrati e misurati, come i suoi gioielli o i suoi capelli che non ricordo di aver visto una volta un centimetro più corti o più lunghi. Camilla Cederna era sempre…..uguale a se stessa. Anche Tino Carraro….passava di lì. Un uomo d’altri tempi. Cortese un po’ burbero, scambiava qualche parola solo sul tempo. Mio marito sorvolava su Carraro e la Cederna, ma sedeva spesso al tavolino con quella signora, che raccontava una storia strana. Alda parlava di un manicomio, di infermieri che la legavano, di psichiatri, di un amore doloroso e intanto scriveva su tovagliolini di carta e su foglietti che poi lasciava lì. Sono una poetessa diceva. Ma nella confusione di quei suoi discorsi a volte contraddittori, a volte incomprensibili, non era facile prenderla sul serio. Era una donna modesta, ma non dimessa e un’accanita fumatrice. Gli abiti, a volte un po’ eccentrici, le labbra rosse e un ombretto vistoso, la facevano somigliare a quelle vecchie signore che per bellezza o per ricchezza erano state una volta molto ammirate e corteggiate. Ci passava parecchio tempo al tavolino, ma mai ad osservare il viavai, era sempre assorta…in se stessa. A volte raccontava la sua storia alla tazza di caffè davanti a lei. Anni dopo cominciai a vederla in tv e il suo nome iniziò a circolare. Cercata e apprezzata poetessa, tra le più grandi del 900 italiano dicevano, aveva scritto parole in libertà su carta stropicciata e spesso gettata nel pattume come sillabe senza valore. Pensieri di una donna di mezza età, un po’ pazza e a volte non troppo sobria…Mi piacerebbe poter dire, oggi, millantando sensibilità e lungimiranza, che “avevo intuito….”, ma non è vero. Mio marito, a differenza, serbava quei fogli, a volte solo sporcati da segni incomprensibili, come un bene prezioso, un caro ricordo, conservandoli in una cartella….a.b.