Creato da fazzarilawgroup il 30/05/2013
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Notifiche: rapporto investigativo può superare le risultanze anagrafiche

Foto di fazzarilawgroup

Avv. Simone Fazzari 

Simone Fazzari & Barry Smith Law Offices 

Simone Fazzari & Barry Smith Law Group

 

 

Con riferimento alle notifiche (nella specie di decreto ingiuntivo) le risultanze anagrafiche hanno un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora la quale, invece, è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche. 

Il fatto

Un decreto ingiuntivo veniva notificato in luogo diverso dalla residenza dell’ingiunto e, in particolare, presso la sua effettiva dimora, appresa tramite un’agenzia investigativa.

La notifica dell’atto veniva accettata dal custode dello stabile.

Proposta opposizione tardiva, il Tribunale la dichiarava inammissibile, mentre la Corte d’appello la dichiarava ammissibile e revocava il decreto ingiuntivo; ciò – ed è questo il punto centrale della pronuncia in commento – proprio sulla base della pretesa illegittimità della notifica eseguita a un indirizzo diverso rispetto a quello di residenza.

Veniva pertanto proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione.

Sulla valenza delle risultanze anagrafiche in tema di notifica

I Giudici di legittimità ribadiscono, innanzitutto, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (si veda al riguardo Cass. n. 19132/2004, Cass. 11562/2003, Cass. 4829/1979 e Cass. 4705/2008) secondo cui:

  • le risultanze anagrafiche hanno un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora;
  • la dimora abituale, infatti, è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche;

di conseguenza, osserva la Suprema Corte, le risultanze anagrafiche possono esseresuperate da qualsiasi fonte di convincimento (come ad esempio, sottolinea la Cassazione, la corrispondenza intercorsa tra le parti prima del giudizio ovvero il comportamento della persona che accetta di ricevere l’atto per conto del destinatario).

Ciò posto, i Giudici evidenziano che nel caso di specie erano stati prodotti al riguardo due documenti:

a) le risultanze dell’indagine svolta da un’agenzia investigativa che aveva identificato nel luogo dove venne poi in effetti notificato il decreto ingiuntivo in questione circa l’effettiva abituale dimora del debitore;
b) una lettera, non disconosciuta, nella quale il procuratore del debitore dava tra l’altro atto – punto decisivo sul quale pone l’accento la Cassazione – che, in effetti, al medesimo debitore era stato notificato il decreto ingiuntivo in discorso (opposto tardivamente ma che, sulla base di tale missiva, sarebbe invece stato opponibile con tempestività);

Ciò considerato, la Suprema Corte osserva che i Giudici di merito non hanno valutato tali risultanze, né hanno spiegato perché non potessero essere ritenute sufficienti.

Da tale omissione, conclude sul punto la Cassazione, deriva la censurabilità della sentenza impugnata.

Sulla legittimità dell’opposizione tardiva

A tale conclusione i Giudici giungono anche osservando che “ai fini della legittimità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo non è sufficiente l’accertamento dell’irregolarità della notificazione del decreto ingiuntivo”, occorrendo altresì la prova “che a cagione della nullitàl’ingiunto non ha avuto tempestiva conoscenza del decreto e non è stato in grado di proporre una tempestiva opposizione”.

L’onere di tale prova grava sull’opponente.

La decisione della Suprema Corte

Sulla base di tutto quanto rilevato, La Suprema Corte, non condividendo le ragioni poste dalla Corte di merito a base della decisione di merito, accoglie il ricorso e cassa, con rinvio, la pronuncia impugnata.

 

Avvocato Simone Fazzari 

Simone Fazzari e Barry Smith Law Offices 

Simone Fazzari e Barry Smith Law Group

 
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Offende tramite il blog: è diffamazione aggravata

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Avv. Simone Fazzari 

Simone Fazzari & Barry Smith Law Offices

Simone Fazzari & Barry Smith Law Group

 

 

Questa sentenza del G.I.P. del Tribunale di Varese affronta uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi tempi che ha visto anche aspri scontri tra giuristi ed Istituzioni. Si fa riferimento, in particolare, alla responsabilità di un blogger per i contenuti immessi in rete tramite il sito di cui è titolare, anche se ovviamente questo discorso può essere allargato ad altri strumenti del web ed in particolare del web 2.0.

Nel caso di specie la blogger viene condannata per diffamazione in quanto sul proprio sito avvia una campagna denigratoria nei confronti delle case editrici a pagamento, utilizzando espressioni ed immagini pesanti ed offensive rivolte, in particolare, ad una responsabile editoriale. Tale comportamento ha dato luogo, secondo quello che è lo spirito della Rete, ad ulteriori messaggi offensivi di terze persone ovviamente non bannati dalla responsabile del blog.

L’organo giudicante nel motivare la propria decisione distingue innanzitutto tra affermazioni che per quanto forti si risolvono in una critica legittima, anche se particolarmente accesa ed affermazioni che per il loro contenuto offensivo si rivelano palesemente diffamatorie.

Inoltre lo stesso G.I.P. si trova nell’evidente difficoltà di inquadrare giuridicamente il fenomeno Internet ed in particolare il blog ai fini della configurazione del reato. In questo caso, ritorna in auge “l’antica” ma ancora molto attuale questione dell’equiparazione tra comunicazione giornalistica su Internet e comunicazione tradizionale della carta stampata, che nel caso di specie viene giustamente negata dall’organo giudicante sulla scorta, anche, di un’ampia conforme giurisprudenza di merito (G.i.p. Tribunale Oristano, sent. 25 maggio 2000, n. 137) e di legittimità (Cass, V, n. 1907 del 16 luglio–1° ottobre 2010). L’assunto fondamentale rimane quello del divieto dell’analogia “in malam partem” in materia penale ed a nulla vale una ricostruzione storico-interpretativa dell’ art. 1 della L. 8 febbraio 1948, n. 47 che potrebbe condurre l’interprete ad attribuire a un sito Internet, sulla base di caratteristiche intrinseche e fenomeniche, nonché formali (la registrazione) la natura di “stampa”.

Lo stesso G.I.P. però ritiene che il sito in argomento costituisce la base per la costruzione di un gruppo settoriale di interesse, composto da scrittori esordienti, o aspiranti tali, mediante la discussione di temi comuni e partendo da questo importante presupposto è possibile quindi giungere alle conclusioni che sono proprie della sentenza.

Nessun dubbio sussiste in merito alla configurabilità della diffamazione aggravata in quanto ci si trova nell’ambito di una comunicazione rivolta a più persone e viene utilizzato un “mezzo di pubblicità”.

Inoltre ai fini dell’’attribuzione soggettiva di responsabilità all’imputata essa viene qualificata come diretta sia per i contenuti pubblicati dall’imputata che per quelli inseriti dagli altri utenti. Difatti l’imputata in qualità di amministratrice del sito viene ritenuta responsabile di tutti i contenuti di esso accessibili dalla Rete a prescindere dall’esistenza di filtri. Non rileva, al fine di escludere la responsabilità penale dell’imputata, la clausola di attribuzione esclusiva di responsabilità agli autori dei commenti contenuta in un “regolamento” di natura esclusivamente privata per l’utilizzazione del sito. Gli stessi autori possono al massimo concorrere al reato, se identificati.

La ricostruzione e le conclusioni del G.I.P. del Tribunale di Varese possono ritenersi sostanzialmente corrette. Difatti stante il divieto di analogia in materia penale, non sembra possibile assimilare le comunicazioni via internet a quelle telefoniche o alla stampa, mentre appare opportuno avvalersi di un'interpretazione estensiva delle espressioni "scritti" e "disegni" di cui all'art. 595 c.p., riferibile anche ai contenuti diffusi via internet.

Quanto al requisito richiesto dalla norma, secondo cui gli atti lesivi devono essere diretti alla persona offesa, non si hanno dubbi che ciò accada allorché il messaggio sia veicolato da posta elettronica all’indirizzo del destinatario. Più problematica risulta l’ipotesi in cui l’offesa sia veicolata attraverso un mezzo che raggiunge più persone contemporaneamente (newsgroup, mailing list, siti web). In questi casi, si ritiene non si integri il delitto di ingiuria, bensì quello di diffamazione aggravata.

L’ampia casistica in materia di condotte diffamatorie presenta un intimo legame con l’attività giornalistica e la libertà di informazione, tale che l’evoluzione della giurisprudenza ne risulta fortemente influenzata. Si registra che un vastissimo numero di pronunce sia diretto all’accertamento della possibilità di invocare le scriminanti del diritto di cronaca e del diritto di critica nell’ambito della professione giornalistica.

Ma si pensi alle opinioni espresse attraverso siti internet, newsgroup e blog, che non necessariamente costituiscono mezzi di informazione giornalistica e per le quali non sono invocabili i diritti di cronaca o di critica.

Per molti, però, il diritto di critica non sarebbe una mera specificazione del diritto di cronaca e come tale non sarebbe invocabile esclusivamente da chi esercita l’attività giornalistica.

Il diritto di critica ha un carattere autonomo e può essere esercitato da chiunque, nel rispetto dei confini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di diritto di cronaca: a) utilità sociale dell’informazione; b) verità; c) forma civile dell’esposizione dei fatti.

 

Avvocato Simone Fazzari 

Simone Fazzari e Barry Smith Law Offices 

Simone Fazzari e Barry Smith Law Group

 
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Decreto ingiuntivo al condomino possibile anche senza messa in mora

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Avv. Simone Fazzari 

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Simone Fazzari e Barry Smith Law Group

 

 

L'amministratore, anche senza un preventivo atto di messa in mora, può agire in giudizio per ottenere un decreto ingiuntivo contro i condomini morosi. La clausola regolamentare che preveda l'obbligo per l'amministratore di contestare formalmente la morosità comporta eventualmente una responsabilità da inesatto adempimento del mandato, ma non anche la preclusione ad agire in via monitoria.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza 16 aprile 2013, n. 9181 resa nell'ambito di un procedimento ingiuntivo relativo al mancato pagamento delle spese condominiali.

Nella fattispecie in esame, una coppia di condomini morosi si opponeva al decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti, sostenendo l'improcedibilità dell'azione moratoria perché, contrariamente a quanto espressamente previsto dal regolamento di condominio, l'amministratore non li aveva preventivamente messi in mora.

In particolare, i ricorrenti sostenevano che il Giudice del merito avesse errato nell'interpretare la disposizione del regolamento condominiale che obbliga l'amministratore all'osservanza del regolamento condominiale, nella specie, dell'art. 34 del regolamento che, interpretato secondo buona fede, precluderebbe il ricorso alla procedura monitoria, senza previa messa in mora.

Ad avviso della Suprema Corte, tuttavia, il motivo è manifestamente infondato in quanto nella norma del regolamento non è fatto divieto all'amministratore di agire in via monitoria senza previa messa in mora: la norma si limita, piuttosto, a fissare una regola di condotta dalla cui violazione potrebbe, in ipotesi, discendere una responsabilità da inesatto adempimento del mandato, ma non la preclusione processuale invocata.

Del resto, lo stesso art. 1219 c.c. precisa, in termini generali, che la costituzione in mora non è necessaria quando, scaduto il termine del pagamento, la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore (ovvero, nel caso, presso l'amministratore).

 

Avv. Simone Fazzari 

Simone Fazzari e Barry Smith Law Offices 

Simone fazzari e Barry Smith Law Group

 
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