Il blog senza dimora

Foggia, morire di freddo e di solitudine...


Cerco un foglio bianco per scrivere e raccontare la storia di Eugenio, una storia di illusioni e speranze interrotte, per una morte “naturale”, in un capannone disadorno della campagna pugliese. Il suo foglio bianco racconterebbe la letteratura di Tolstoj, che Eugenio adorava, e i burrascosi litigi col comune amico Marian, rumeno anch’egli e suo unico confidente, appassionato di letteratura americana, e con un debole per gli aforismi di Ambrosie Bierce.Non diresti mai che in un capannone su Via Trinitapoli, oltre i binari della ferrovia, sparsi negli stenti di un’esistenza migrante, potessero vivere due letterati. Marian è ingegnere meccanico, ma qui in Italia gli han fatto dimenticare il titolo e, bene che gli vada, fa il meccanico, o il bracciante come tutti gli altri. Eugenio, invece, in Romania faceva l’apicoltore, con una profonda cultura da autodidatta.Una famiglia mista la sua: moglie ungherese e cattolica, lui rumeno e ortodosso, due figli, uno di ventisei, un altro di ventiquattro anni. Una famiglia che ormai lo vedrà solo in una bara sigillata. Eugenio ci ha lasciato, si è spento uno di questi giorni, guadagnando lo spazio ipocrita dei giornali e forse un posto in Paradiso. Del cordoglio delle istituzioni, dell’indignazione della gente, neanche l’ombra. Solo una lacrima, quella di Marian, sgorga per lui, confondendosi alla pioggia che viene giù copiosa in questa notte.Forse l’ha ucciso il freddo, che non sta dando tregua a chi dorme nei rifugi di fortuna dalle nostre parti, o forse un arresto cardiaco, cui nessuno ha potuto porre rimedio. Eugenio, infatti, viveva spesso solo. Specialmente negli ultimi mesi non si allontanava mai dal capannone, e sebbene Marian gli chiedesse sempre di uscire, lui preferiva starsene lì, a pensare, a riflettere sulla sua vita, ormai andata a rotoli.Lavorava un giorno si e tre no, e i sogni di riscatto che l’avevano spinto in Italia erano ormai in frantumi.Così una tristezza profonda, un malessere complessivo lo teneva in pugno. Era stato per una settimana tutto solo in quel capannone, mangiando quel che poteva, e aveva come sola compagnia il suo gallo, che cresceva nell’aia antistante.Gli ultimi tempi non era stato bene. Marian gli prese appuntamento col medico della Caritas, ma per una serie di motivi non se ne fece più nulla. Eugenio era davvero stanco, e forse la morte l’ha sollevato da un peso, quello di vivere senza speranze.Resta nel racconto sconvolto di Marian, scolpito in questo foglio bianco, il perché di una morte assurda, morte di freddo o di solitudine, nel terzo millennio. Resta la speranza di poter fare ancora qualcosa per lui, per dare a Eugenio una degna sepoltura in patria. Cosicché riposi in pace.Claudiotratto da http://fogliodivia.blogspot.com/