Creato da ekeo il 26/10/2009

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Cellule staminali Causio fecondazione Eterologa

Post n°117 pubblicato il 17 Maggio 2016 da ekeo
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Staminali embrionali:
prima sperimentazione
su un uomo negli Usa

L’azienda americana di biotecnologie Geron ha avviato la prima sperimentazione ufficiale sull’uomo di una terapia con staminali ricavate da embrioni. Si tratta del primo passo dopo che la Food and Drug Administration ha dato il via libera al trial clinico per valutare la sicurezza controversa delle “baby cellule” come cura delle lesioni del midollo spinale in pazienti paraplegici. L’autorizzazione dell’ente regolatore Usa è letta come un riflesso della “dottrina Obama” sull’uso delle staminali embrionali, dopo le restrizioni del suo predecessore Bush e le recenti polemiche giudiziarie in corso negli Usa sul finanziamento alle ricerche.

 
 
 

Conferme sull’uso di terapia genica contro una forma di cecità ereditaria

Post n°116 pubblicato il 04 Maggio 2016 da ekeo

La coroideremia è una malattia rara ereditaria che colpisce prevalentemente i giovani di sesso maschile e porta alla cecità intorno ai 50 anni. È dovuta a una mutazione del gene CHM che si trova sul cromosoma X e causa una degenerazione progressiva della coroide (membrana ricca di vasi sanguigni che “nutre” la retina), dell’epitelio pigmentato della retina (strato più esterno della retina) e della retina stessa. Colpisce una persona su 50-100mila e si manifesta con un restringimento progressivo e una perdita concentrica del campo visivo. È fondamentale che la diagnosi sia fatta prima possibile perché la malattia, oltre alla progressiva cecità, causa complicazioni renali, che sono la principale causa di morte dei pazienti. Una cura oggi non c’è ma già da un paio d’anni per i malati ci sono nuove prospettive.

Iniezione di geni sani tramite virus-vettori

Uno studio inglese, dell’Università di Oxford, ha dimostrato che la terapia genica può tenere sotto controllo la patologia, se non addirittura migliorare la condizione visiva di chi ne soffre, non curando la malattia ma rallentandone la progressione. La terapia consiste nell’iniezione, utilizzando un virus reso inoffensivo come vettore (adenovirus), di milioni di copie sane del gene danneggiato. Nel 2014 erano arrivati i primi risultati (fase 1): sei pazienti dai 35 ai 63 anni avevano mostrato un certo miglioramento dell’acuità visiva dopo un trapianto di geni. Oggi una nuova pubblicazione, sul New England Journal of Medicine, descrive l’ulteriore sperimentazione su 14 pazienti nel Regno Unito e altri 18 tra Stati Uniti, Canada e Germania negli ultimi quattro anni e mezzo. I ricercatori, guidati da Robert MacLaren, hanno scoperto (e confermato) che il trattamento ferma la progressione la malattia, ravviva alcune delle cellule morenti e migliora la visione del paziente, in alcuni casi marcatamente. Il miglioramento sarebbe di lunga durata e quindi, in futuro, la terapia potrebbe essere proposta come trattamento, cosa che, secondo MacLaren, potrebbe avvenire nel giro di tre anni. Le ambizioni degli autori sono anche più ampie: «Vorremmo sviluppare terapie per le forme più comuni di cecità e queste potrebbero essere disponibile nei prossimi dieci anni» ha dichiarato MacLaren alla BbcGià nel 2008 la terapia genica si era dimostrata efficace contro una forma di cecità ereditaria dovuta a un difetto della retina: l’amaurosi congenita di Leber.

 
 
 

Il cervello: conta con le dita.

Post n°115 pubblicato il 04 Maggio 2016 da ekeo

 

Non contare con le dita, non sei più un bambino piccolo! Quante volte ci siamo sentiti dire così a scuola. Come se usare le dita fosse una cosa infantile, di cui vergognarsi. Un pregiudizio antico quanto quello sui mancini, che un tempo venivano costretti a usare la destra come se ci fosse qualcosa di sbagliato nella sinistra. Più persistente, però, perché ancora oggi ci sono maestre che vietano ai bambini di usare le dita costringendoli a sotterfugi umilianti come nascondere le mani sotto il banco. Un clamoroso errore pedagogico perché così si moltiplicano ansia e senso di inadeguatezza. Ma anche un «falso ideologico» visto che, come le moderne neuroscienze dimostrano, il nostro cervello anche quando diventiamo adulti continua a contare con le dita. In che senso? Nel senso che quando eseguiamo dei calcoli nella nostra testa si attiva proprio quell’area che corrisponde alla rappresentazione della mano. Quindi anche se non utilizziamo più fisicamente le dita, il cervello in un certo senso insiste a farlo.

 

Risultati migliori

Non solo: come dimostrato da un recente studio pubblicato da due ricercatori della Northwestern University, migliore è la rappresentazione che abbiamo delle dita della mano, migliori saranno anche i risultati in matematica. Spiega Ilaria Berteletti, dottorato in Scienze cognitive a Padova, anche se poi «per continuare a far ricerca sono partita

 

 
 
 

Gemelli e genetica

Post n°114 pubblicato il 29 Aprile 2016 da ekeo
Foto di ekeo

La mitologia ne ha messi due all’origine di Roma. Romanzi e film hanno giocato con la molteplicità degli intrecci narrativi resi possibili da due vite che iniziano nello stesso luogo e nello stesso momento per poi prendere strade diverse. Ma i gemelli rappresentano soprattutto una straordinaria opportunità per la ricerca scientifica. Infatti confrontare quelli identici (che derivano dallo stesso ovulo e sono detti monozigoti) con quelli diversi (che derivano da ovuli differenti e sono detti dizigoti) aiuta a capire quanto contino i geni e quanto i fattori ambientali nello sviluppo di tratti complessi che vanno dall’intelligenza all’orientamento sessuale. I registri in cui sono catalogati i dati sui gemelli, insomma, sono una vera miniera per la scienza. Proprio a questi database ha attinto un gruppo internazionale di ricercatori interessato a identificare i geni che influiscono sulla probabilità di mettere al mondo dei gemelli dizigoti. Il loro studio, pubblicato sull’American Journal of Human Genetics, risponde alla domanda: perché la gemellarità è un tratto ricorrente in alcune famiglie e non in altre?

 

La genetica gioca un ruolo determinante

La diffusione della fecondazione assistita ha fatto crescere il numero dei passeggini doppi e tripli, perché per aumentare le probabilità di successo si usa impiantare più di un embrione. La maggior parte dei gemelli, però, è ancora concepita in modo naturale. Mentre la frequenza dei monozigoti risulta omogenea nel mondo (3-4 nascite ogni mille), quella dei dizigoti è piuttosto variabile (si va da 6 a 40 nascite su mille, rispettivamente in Asia e in Africa). La gemellarità è considerata un indicatore di alta fertilità ed era già noto che la genetica gioca un ruolo determinante, a differenza dell’alimentazione che sembra influire poco. Restava da chiarire quanti e quali fossero i geni coinvolti. Studiando le cucciolate di una piccola scimmia sudamericana della famiglia delle Callitrichinae sono stati identificati 63 geni candidati, ma solo due di questi sono sopravvissuti all’analisi incrociata eseguita da Dorret Boomsma e colleghi sui database umani. I ricercatori per il momento si sono concentrati sulle popolazioni di origine europea, passando in rassegna i dati relativi ai dizigoti conservati in Olanda, Australia e Stati Uniti. In tutto hanno potuto analizzare le informazioni relative a quasi 2mila madri di gemelli (e quasi 13mila madri di figli singoli), quindi hanno cercato conferme in Islanda accedendo ai dati relativi a 3.500 nascite gemellari e quasi 300mila nascite di controllo.

In pratica hanno cercato le varianti geniche che sono più frequenti tra le madri dei gemelli dizigoti concepiti senza ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. In questo modo è stata individuata una variante del gene Fshb, associato con alti livelli dell’ormone Fsh che stimola la maturazione dei follicoli ovarici portando al rilascio degli ovuli. I gemelli diversi infatti vengono concepiti se nello stesso momento viene rilasciata (e poi fecondata) più di una cellula uovo. L’altro gene identificato è detto Smad3 e potrebbe influenzare la risposta delle ovaie all’ormone follicolo-stimolante. Le due varianti aumenterebbero rispettivamente del 18% e del 9% la probabilità relativa di avere dei gemelli. La gemellarità, dunque, sarebbe favorita da almeno due condizioni: il fatto che una donna produca più ormone della media o che abbia ovaie particolarmente sensibili alla sua azione. Ma Fshb e Smad3 sono solo i primi due pezzi del puzzle, i geni coinvolti sono certamente più numerosi. I risultati di questo tipo di studi potrebbe contribuire a migliorare i trattamenti per l’infertilità, in cui si utilizza l’ormone follicolo-stimolante per indurre l’ovulazione . Alcune donne reagiscono in modo eccessivo alla stimolazione ormonale e sarebbe utile disporre di test genetici in grado di individuarle in anticipo.

 

 

 
 
 

Newsletter 22 febbraio 2016 Causio ginecologo

Post n°113 pubblicato il 23 Febbraio 2016 da ekeo

 
 
 
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