Fermata a richiesta

Child in time


Il cancello era alto,  molto più alto dei miei occhi e delle ali. Le domeniche passavano lente a guardare i genitori degli altri che venivano, portavano qualche regalo, qualche pasticcino. Alcuni facevano evadere i figli col permesso della madre superiora, allora il grande cancello di ferro battuto si apriva e il mondo di fuori non era più scomposto in colonne.Anche mia madre veniva a trovarmi, ma non tutte le settimane, non poteva, allora me ne stavo a giocare nella pineta, lì solo lo sguardo delle finestre dell’ultimo piano poteva spiarmi, ma erano occhi ciechi, chiusi dietro pesanti palpebre di legno verde.Di nascosto dal mondo raccoglievo grandi scaglie di corteccia abbandonate dai pini marittimi  e le grattavo contro i muri scrostati della mia infanzia per dargli la forma di un desiderio.È morbida, la pelle dei pini, più morbida del mio sentire che ogni giorno si adattava a qualcosa in meno. È morbida e scabrosa, ma solo dal di fuori; il suo cuore levigato si sfoglia come un libro e quante storie ci puoi leggere dentro; storie e tempo, e storie di tempo.Me le raccontavo sfregando e plasmando quella consistenza calda e odorosa di resina e ogni volta una nuova forma nasceva dalle mani che piano si tingevano di una polvere rossa e sottilissima che cancellava le linee nel palmo: vita, fortuna,  amore. Ingannai il destino. Nessuna zingara avrebbe pronunciato il mio nome.