Fermata a richiesta

Grazie e i suoi fratelli


 Mi chiedo come saranno, una volta cresciuti, i figli di questa terra dal sangue nero e dai fiumi color porpora. Si ricorderanno di noi, di queste mani tese?Qualcuno ha fissato alla rete un cartello con su scritto:AL FINE DI EVITARE PERICOLOSI ASSEMBRAMENTI A RIDOSSO DELLO STABILIMENTO SI FA DIVIETO AD OGNUNO DI DISTRIBUIRE CIBO O QUALUNQUE ALTRO GENERE A CHIUNQUE SOSTI OLTRE LA RECINZIONEC’è un bimbo, uno tra i tanti che sbucano dalle ferite polverose del reticolato; un tralcio di vite selvatica, uno stralcio di vita selvatica; torso magro di giunco e mani aperte come pampini. Aspetta me ogni mattina. Quando mi vede arrivare sorride scoprendo una fila di denti bianchi sotto due occhi neri, neri. Io mi avvicino, allungo la mano e lui non ha fretta: lo sa che quella brioche è sua, non la darò a nessun altro. La prende e mi dice: “Grazie”  in un italiano quasi senza inflessione. Forse è l’unica parola che conosce, ma la dice con un senso così pieno che per forza penso ne intuisca un significato più profondo.“Grazie” non è buona educazione, qui; “Grazie” è una benedizione che accompagna i tuoi passi al confine del giorno e poi oltre, nei territori spaventosi della notte,  su prati fitti di fiori scarlatti seminati in un giorno di pioggia e dalla pioggia lavati via.“Grazie” è una benedizione, qui, e io mi lascio benedire.Il sacchetto dei cornetti è ormai voto; ognuno ha avuto il suo pane quotidiano, la sua eucaristia alla nutella.  Noi e loro, le loro bocche e le nostre coscienze. La messa è finita, ma la pace è in netto ritardo.Guardo la rete ormai svuotata di occhi e voci, abbandonata al suo dovere di trasparente guardiana, e ancora una volta quel rappezzo di formalità scritto in stampatello e cucito a fil di ferro mi dà un lieve senso di nausea,  come la tendina all’oblò di una nave che nasconde il rollio agli occhi, ma non allo stomaco.Leggo,  e penso che questo è l’unico zoo in cui alle attrazioni è vietato dar da mangiare ai visitatori.