Fermata a richiesta

Somma di pressione (il silenzio delle scimmie)


 Le vedi scendere silenziose e colorate; le vedi scendere lievi come fiocchi di neve nati da una nuvola ronzante e poi spargersi roteando con la grazia delle foglie d'autunno. Guadano l'orizzonte e sono tanti coriandoli tropicali portati dal vento; fantastici semi di tarassaco che fioriranno rapidi e senza memoria sulla terra ferita in un giorno di marzo.“Somma di pressione”: un nome tecnologico che non lo indovineresti mai, se vedessi a cosa appartiene. Una piccola farfalla  variopinta che gli adulti hanno imparato a riconoscere e temere, ma che attira a sé i bambini come il miele le api. A nulla valgono tutte le raccomandazioni che corrono loro dietro svolazzanti come aquiloni.“Somma di pressione”: piccole girandole colorate abbandonate in mezzo all’erba; giocattoli perduti da chissà chi che ti invitano a toccare. Ali di plastica delicate proprio come quelle di una farfalla, sensibili al tatto, ad ogni più piccolo sfiorare. Captano. Ricordano il tocco di piccole dita nella loro memoria di vetro della Silicon Valley, lo sommano ad altri piccoli tocchi già andati che si ammucchiano come grani di sabbia nel bulbo di una clessidra; come bimbi che si radunano, meravigliati e dimentichi, e toccano.Persino un grido eccitato diventa pressione da calcolare.E quando la sua misura è colma il microprocessore sa soltanto quanti granelli sono caduti nell’ampolla e ferma il tempo in un istante senz’aria. Non lo sa quanta vita è sparsa intorno né che forma abbiano i fiori scarlatti nuovi di zecca sul prato; non sa come profumano né che età abbiano. Sa solo che sono il più numerosi  possibile e che ha fatto bene il suo lavoro.Inventori di mine. Ladri di ingenuità che la sera baciano i figli e mettono aletto la coscienza.E adesso tendete bene l'orecchio: lo sentite anche voi? Riuscite ad udirlo in tutto quel turbinare?C'è un istante nascosto, in quella semina, un solo piccolo attimo silenzioso che somiglia tanto alla riverenza che avvolge le sale ben arredate di certi paradisi offshore, un istante elettronico lungo il quale capitali senza memoria affondano nel ticchettio leggero di tastiere sotto le dita di scimmie che, per un momento, abbandonano gli occhi coperti, le orecchie tappate, le bocche mute, e gli tocca di vedere e sentire… e dimenticare.Una frazione di tempo, solo una minuscola frazione di tempo; uno spiffero nelle menti e nelle anime che non basta a portare il gelo. E quando i rumori tornano a riempire il giorno, il silenzio delle scimmie riprende, lasciando, unica testimonianza sbiadita, piccoli boccioli color del minio. Gemme storpie, mutilate dei loro petali; gemme derubate della loro gioia, della loro ingenuità.Gemme acerbe che non daranno frutto. Non più.P.S.Le parole qui sotto sono di madame Psike, non mie, ma ho creduto che dovessero avere maggior visibilità.Avevo circa 26 o 27 anni quando ho visto al cinema "Viaggio a Kandahar", un film iraniano girato in Afghanistan durante il regime talebano e guardandolo ho capito che tutto quello che credevo di poter immaginare e sapere era niente. All’epoca non sapevo di più e non avevo visto di più. Quindi, perdonatemi se mi dilungherò occupando molto spazio o se dirò cose non piacevoli a leggersi, ma non posso fare altrimenti perché sì, sono cose ovvie, risapute a chiunque – già negli anni ’50 Zavattini e Vittorio De Sica girarono un documentario sulle mine che s’intitolava “I bambini ci giocano” - ma il fatto che si “sappiano” non significa che si capiscano davvero e totalmente, nei minimi dettagli, o che si abbia la malaugurata sorte di vederle da vicino, quasi ad immedesimarsi nella dinamica di una delle peggiori invenzioni umane mai concepite. Quello stesso documentario, ritrovato una decina di anni fa e poi integrato con ulteriori immagini contemporanee, fu, ai tempi, trascurato e sottovalutato. Le mine anti-uomo uccidono e quando non uccidono, mutilano, lasciandoti a brandelli, non guardando in faccia nessuno. Che tu sia giovane e bello, gentile o violento, che tu sia una madre protettiva, un vecchio stanco, un’adolescente da poco consapevole della propria avvenenza o un bambino che gattona. Ti dilania e ti frantuma il corpo, privandoti dei suoi legittimi pezzi. E lo fa così, gratuitamente, soltanto perché quella è la sua ragion d’essere: anti uomo. E c’è chi attende per mesi ma anche anni, dopo essere stato senza un motivo improvvisamente mutilato, almeno uno se non un paio di arti finti. Nella scena più famosa del film, gli storpi – anzi, no, gli storpiati – appoggiandosi con le stampelle, corrono incontro alle protesi rudimentali che cadono dal cielo, paracadutate dagli elicotteri delle organizzazioni umanitarie in quello che viene definito un deforme balletto. Questi progettini così sleali, mirati solo a ridurre in pezzi - meschinamente e letteralmente - sbrandellano uomini, donne e bambini che, fin da piccoli, convivono con la probabilissima - se non certa - prospettiva di essere, ad un certo punto della loro vita, semplicemente privati della loro sacrosanta fisicità, venendo addestrati ogni giorno, sin dalla prima infanzia non solo a tenersi a distanza da ogni oggetto vagamente anomalo, sconosciuto e sospetto ma anche a muoversi con cautela per evitare quelli subdolamente occultati e perfettamente mimetizzati con l’ambiente perchè è un attimo e un solo piede investito dall’ordigno si sbriciola, insieme a tutte le ossa della gamba, le schegge colpiscono tutto e possono deturpare anche il volto e con esso gli occhi provocando emorragie. Gino Strada scrisse un libro, pubblicato a fine anni ’90, molto sincero sull’argomento; s'intitola “Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra” nel quale si parla delle mine anti-uomo impiegate dai mujhaeddin afghani; ma l’Afghanistan è zeppo di mine e tra tutte, quelle più diaboliche, sono quelle v-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e progettate prendendo di mira i più piccoli. Fra le tante a forma di giocattolo (che, va rimarcato e sottolineato con evidenziatore fluorescente e poi ricordato per sempre, sono balocchi di morte confezionati in modi terribilmente semplici e fabbricati con pochissimi materiali, pensati proprio per affascinare e adescare i bimbi…) c’è anche la sovietica ' farfalla', una mina che, come magistralmente scrive lei in questo post, risulta essere molto attraente per le sue caratteristiche ma che, di fatto, è una sorta di roulette a pressione cumulativa. E chi le pensa, realizza, sceglie di impiegarle o semplicemente non le impedisce, è davvero molto bravo a mettere a letto la coscienza la notte insieme ai propri figli che, evidentemente, non sa immaginare a monconi, o forse crede essere più degni – rispetto a tutti gli altri - di esercitare il diritto di crescere e di camminare, senza procedere ad ogni passo con il dubbio di poter venire spezzettati. Un’ultima sola cosa, il web fornisce addirittura manuali per la realizzazione di queste umane oscenità anti-uomo con un costo infimo, perché, naturalmente il basso costo è una garanzia per la proliferazione degli ordigni. Queste cose possono uccidere nel raggio di 200 metri, investendo chiunque vi si aggiri e sono anche beffardamente molto più longeve della maggioranza delle vittime che producono, dal momento che possono durare decine di anni; ma purtroppo - ecco le giustificazioni ufficiali - bonificarle costa e richiede troppo tempo, anche perché questi “regalini” sono diventati impermeabili agli agenti atmosferici e quasi invisibili agli strumenti di ricerca. Così di mine anti-uomo si continua a morire in 65 paesi – più o meno – e i bambini continuano a saltare. In aria, prima, e sulle stampelle, poi. Ma tutto questo si sa, si conosce ma non fa notizia e quello che si dice resta aria fritta condita da qualche distratta forma di indignazione molto politicamente corretta ma molto poco realizzata nel suo significato. Mi scusi se non mi sono soffermata per nulla sulle sue capacità artistiche questa volta, sa già quanto ammiri le sue attitudini letterarie e la forma da lei utilizzata e quanto può essere piacevole, per me, leggerla e seguirla anche negli argomenti più ingrati e penosi ma questa volta ho preferito ribadire fino alla nausea una situazione talmente mostruosa da essere paradossale, in cui piovono innumerevoli farfalle di morte e grottescamente, insieme ad esse, alcune protesi come fossero manna dal cielo.