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Un popolo senza patria. O meglio, con troppe patrie. Vivono sparsi ai limiti di quattro stati, in una fascia di terra aspra come le loro facce; uno strappo di sabbia e sassi che attraversa come una maledizione il fianco di quattro giganti mediorientali; un filo d’insalata fastidioso incastrato tra i denti di Iran, Iraq, Siria e Turchia. Lo chiamano Kurdistan, ma non esiste. Eppure proprio da quella “non esistenza” dipartono gli ultimi fili d’ossigeno cui sono appese le speranze di fermare l’avanzata di una fede demolitrice come quella dell’autoproclamato Stato Islamico
Per carità, non voglio fare dei kurdi dei perseguitati. Di carognate ne hanno fatte anche loro, da soli e in compagnia, però se si va a guardare come stanno le cose oggi, ci si accorge che i componenti di questo popolo maledetto almeno quanto armeni o ebrei, sono gli unici ad essersi opposti all’avanzare delle truppe del califfato islamico. Oggi la “libertà” se di libertà si può parlare, dei popoli che abitano quel lembo di terra è nelle mani di quattro guerriglieri che fino a pochi mesi fa erano facchini, muratori, camionisti o minatori, casalinghe, studentesse, contadine: gente comune che ha deciso di non fuggire per il semplice motivo che quella terra è casa loro e quella libertà è la loro libertà.
Aveva un bel sorriso, Arin, un bel sorriso, un nome come il frusciare del vento tra i rami e pochi, pochi anni. L’altro giorno si è fatta saltare in aria tra le fila dell’esercito dell’IS: trentadue perle come pistilli bianchi per quei fiori di porpora sbocciati all’improvviso sulla sabbia del deserto.
La prima kurda a compiere un atto del genere, dicono i media; non è vero, dico io. Non è vero perché credo fermamente che Arin Mirkan non sia il primo né sarà l’ultimo essere umano a morire per la libertà. Arin Mirkan non è morta al grido di “allahh akbar”, non è morta per le smanie di potere di un dio che non si vede o di un governo telecomandato, ma perché la morte era l’unica via che le permettesse di rimanere libera e conservare la propria dignità e il rispetto per se stessa. Esattamente come è stato per Ceylan Ozalp e per tutte le donne e gli uomini morti per difendere il loro diritto ad essere liberi.
Si poteva e si può evitare? Io dico di sì.
Lo si vuole fare? Questo proprio non lo so.
E vorrei, dio solo sa se vorrei, riuscire starmene zitto o a parlare d’amore pane e fantasia: l’ho fatto apposta, questo blog! Ma ci sono volte che proprio non ci riesco. Anche se non serve a nulla, proprio non ci riesco.
Probabilmente, come tu dici, le ragioni e gli alibi di questo attendere nascondono intenzioni e mire ambiziose da parte della Turchia (e forse non solo turche), ma non riesco a fare a meno di chiedermi come si possa restare fermi a guardare fosse anche solo un cane che viene massacrato, quando invece si ha la possibilità di fare qualcosa. Come si fa a far valere la burocrazia e la ragion di stato di fronte alle richieste d’aiuto e al sangue versato.
I combattenti Pesh Merga non chiedevano che venissero schierate truppe sul territorio, ma solo di essere armati in maniera adeguata a potersi difendere, cosa sacrosanta e più che mai “sensata” nel nonsenso della guerra, perché libertà, giustizia, democrazia non sono cose che si possono esportare, o regalare. Te le devi guadagnare, per capirne il senso e il valore.
Ma forse sono io che non capisco. Forse il problema è mio.
Buon finesettimana, Wood.
Anch’io ho visto quelle foto e a quella di Ceylan Ozalp il cuore per un attimo si è fermato insieme al respiro come se quel tappo che mi era salito in gola potesse trattenerli: avrebbe potuto essere mia figlia.
Sa, madame, vedere esseri umani combattere cosi disperatamente per la loro libertà senza distinzione di sesso o età mi dà speranza, mi fa sentire orgoglioso di essere un uomo, ma a quale prezzo!
Sapere esseri umani massacrati sentendomi impotente ad impedirlo. Avrei preferito ben altre testimonianze, madame. Avrei preferito poter parlare di pane, amore e fantasia e avrei preferito che ne potessero parlare anche loro.
E l’Europa ha porto a D’Alema il catino in cui lavarsene le mani.
Oggi come allora l’Europa è lì che sta a guardare, ma se allora poteva avere l’alibi della lotta al terrorismo, oggi come può giustificarsi. Quella era lotta armata, va bene, ma questo è un massacro.
Non che mi stupisca, la storia è la stessa della Siria, del Congo, dell’ex Jugoslavia, dell’Ebola sulla quale non si fa ricerca perché tanto colpisce solo gente povera e mal nutrita che non può pagare… e via discorrendo, soltanto… Non è che io voglia cambiare il mondo: ho imparato da tanto che è una guerra persa, però almeno limitare i danni per quel che si può… Boh. Come dicevo a Wood qui sopra, o chi tira i fili è bravo ad anestetizzare chi sta sotto, oppure chi sta sotto vuole essere anestetizzato.
Buon fine settimana anche a te, Street.
Ora, madame, consideri che in quelle zone non si necessita di un addestramento militare (ogni uomo dorme col suo kalashnikov e sa perfettamente come usarlo), aggiunga a questo un livello di istruzione molto basso, una fede religiosa ancora molto radicata, condizioni di vita non certo delle migliori, qualche milione di dollari di finanziamenti più o meno occulti, ed ecco che la miccia si accende. E quando tu in un paese già annientato da decenni di mal governo, abusi, fame ed ignoranza, cominci a portare la parola del profeta e con quella, servizi, strade che funzionano, corrente elettrica, acqua potabile etc, non è che ci voglia tanto a passare dalla parte dell’invasore. Come dicevano anche qui da noi quattro o cinque secoli fa: “Franza o Spagna, basta che se magna.”.
Il problema che lei pone, madame, non riguarda tanto la nascita dell’IS, bensì il fatto che esso goda di ottima salute. Questo grazie a stati non meglio identificati che ne comprano il petrolio e che lo riforniscono di armamenti moderni… ben più moderni di quelli procurati dalla defezione di interi reparti dell’esercito regolare nelle zone conquistate.
Il vero punto della situazione è che nel dopo Saddam non è stato fatto quello di cui c’era bisogno: portare condizioni di vita migliori, istruzione, informazione. E questa è la colpa che oggi si sta pagando. Bisognava cambiare gli occhi della gente perché questa desiderasse cambiare. Perché la democrazia è bella, ma non è spirito santo: non può essere super infusa, deve salire dal basso.
E allora poi rinasconoArin Mirkan e Ceylan Ozalp, fiere e schifate, libere, liberatesi...! Fisse nelle pupille dei mostri che gli stavan davanti. Urlando per la libertà, per tutte le donne velate, stuprate, infibulate, schiave del Califfato!
Perché forse solo nei gesti immensi ci disprezziamo per la nostra stessa enorme assassina nullità.
“E questa è la colpa che oggi si sta pagando. Bisognava cambiare gli occhi della gente perché questa desiderasse cambiare. Perché la democrazia è bella, ma non è spirito santo: non può essere super infusa, deve salire dal basso.”
…
Au revoir Monsieur...
Lei si chiede perché si lustri sempre tutto quello che "capita" agli altri e non vorremmo mai succedesse a noi. Credo di intuire la domanda che sta dietro alla sua retorica, cioè: "Perché permettiamo che quelle cose accadano?"
Ad essere sinceri, madame, credo sia per uno dei motivi più naturali per l'uomo, e cioè perché tutto quello che ci è lontano, tutto quel che non ci tocca e che non vediamo, tende a rimanere, per noi, distante. Una volta compreso questo principio da parte di chi tira i fili, non è difficile far sembrare meno brutto tutto quel che succede altrove. succedesse qui, sulla nostra pelle, non sarebbe tanto facile farci credere che tutto vada bene, ma da lontano basta poco: una lucidata e via.
Che poi, sa, più che lucidare credo facciano scendere una specie di nebbia fatta di parole tanto strane e ridondanti che confondono il povero "uomo medio" rendendo tutto ancor più evanescente e togliendo peso alle cose, anche a quelle più atroci. Poi tanto panem et circenses, e il gioco è fatto.
Il gioco è fatto fin quando, come lei dice, qualche Arin Mirkan, da qualche parte nel mondo non ci urla nelle orecchie piene di cerume tutta la nostra immobilità, allora ci disprezziamo per la nostra enorme assassina nullità
Il fatto è che la coscienza ha così poca memoria, madame. Soffre d'amnesia, poverina.