![](http://www.scultura-italiana.com/Galleria/Canova%20Antonio/images/Antonio%20Canova%20-%20Maddalena%20Penitente.jpg)
Sei stata la prima donna che ho amato.
Sembra strano innamorarsi di un blocco di marmo scolpito, ma è stato inevitabile. Ti amavo già molto prima di incontrarti.
La prima volta che udii il tuo nome avevo meno di dieci anni e non avevo la più pallida idea di cosa significasse la parola “meretrice”, ma la suora riusciva a porre un accento particolare su quel termine pur pronunciandolo con un filo di voce, quasi che noi ragazzini non lo si dovesse sentire. Però io lo sentii. A scapito di tutto il resto, lo sentii.
Meretrice: sinonimo di prostituta; colei che vende il proprio corpo per denaro.
Nella mia ingenuità di bimbo mi chiesi come si potesse vendere se stessi e poi riuscire a spendere ciò che si era guadagnato; poi crebbi e imparai che un corpo lo si può vendere, affittare, prestare a tempo determinato e perfino dare via a cottimo, ma compresi anche che poter “usare” non vuol dire possedere.
Fu sul limitare dell’adolescenza che incappai nei tuoi occhi bassi, nelle tue labbra appena socchiuse come a chiedere il perché di un dolore; fu allora che ti vidi, che vidi le tue spalle ampie richiuse, quasi schiacciate da un peso immane, i tuoi capelli che più nessuno avrebbe accarezzato, il tuo ventre morbido di femmina e le tue mani vuote. Fu allora, quando ti vidi in ginocchio e sentii dentro me il tuo dolore, che compresi cosa volesse dire appartenere. Solo quando vidi quel vuoto incolmabile, ne sentii il senso. E me ne innamorai. Follemente.
Non sapevo nulla, allora, di quel Canova che ti aveva scolpita né dei suoi committenti.
“Maddalena penitente” è il nome completo della tua mole.
Una puttana coperta appena da un lembo di stoffa, con la beffa di una croce, ancor più nuda, tra le braccia; senza nemmeno uno straccio di Cristo inchiodato su da poter cullare, senza i suoi polsi trafitti da baciare. Una croce nuda tra le mani e un monito di morte al fianco; un monito che è quasi desiderio sulle tue labbra socchiuse.
Come aveva potuto il tuo creatore non riconoscerti? Come aveva potuto non riconoscere la sua creatura? Come aveva potuto scambiare per pentimento la devastazione di un’anima alla deriva, e per invocazione di perdono quel sussurro strozzato di dolore fissato per sempre nella pietra? Come aveva potuto riempire di nulla le tue palme svuotate?
Invidiai l’uomo venuto dalla Galilea, invidiai ciò che tu gli avevi donato e che egli aveva portato via con sé, lasciando quel che rimaneva, accasciato nella polvere, senza più forza, afflosciato come una pezza bagnata sulla pietra ruvida.
Fu allora che m’innamorai di te, e da allora non smetto di cercarti.
Quando la vidi per la prima volta provai l’istinto di farle una carezza, di toccarla, di consolarla. Sentivo dentro il suo dolore; immaginavo la pena di amare qualcuno per ciò che egli è, quando proprio ciò che egli è ci nega tutto di sé.
Ciao, Street :-)
Grazie per il suo apprezzamento.
Sì, qui, per quanto banale, “il primo amore non si scorda mai” ci casca proprio a pennello :-)
Abbi una buona serata, Wood
Già: come si può non amare un essere tanto vinto e perduto?
Però, sa, io non l’ho amata per la sua disgrazia; non era istinto da crocerossina, il mio, piuttosto ammirazione per la devozione di quella donna che nel mio immaginario viveva in simbiosi con l’uomo Cristo, ma non altrettanto con il Cristo dio.
Nella sua disperazione non v’è traccia di gioia per la resurrezione di un dio degli uomini, ma dolore per la morte di un uomo cui apparteneva lei unica.
Poi è sicuramente vero che nell’opera il Canova riveli se stesso molto più che nel titolo assegnatole, ma per me adolescente, quell’aggettivo “penitente” suonava come un ulteriore insulto al dolore che, inevitabile, si fa strada quando la natura stessa di ciò che si ama ci nega quell’amore.
Non mi interessa essere dio: non sono il diavolo. Tutt’al più sono un povero diavolo, sono solo Fagotto e non è l’adorazione del mondo, che vado cercando, ma quella di un unico essere, una donna da poter chiamare Mia.
Vuol sapere cosa adoro di quella donna?
Vederla accasciata nella polvere della mia assenza.
E vuol sapere cosa mi fa più male, di quella donna?
Vederla accasciata nella polvere della mia assenza
Sono cose che ho paura di ammettere anche a me stesso, madame: spero non mi giudichi troppo male.
Le auguro un buon fine settimana
Anch’io vorrei poter dire alla donna che amo: “Credi in me”, con la certezza di un Cristo, ma io sono solo un uomo e si sa, agli occhi del domani le promesse degli uomini sono giust’appena desideri pronunciati affidati a quella piccola luce che giace nel fondo del vaso di Pandora.
Buon fine settimana anche a lei, madame.