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Desperation Road

Post n°98 pubblicato il 05 Dicembre 2018 da korov_ev

 

La strada era come un fiume che rotti gli argini scorreva lento e inesorabile verso la Terra Promessa. La corrente di quell'umanità in transumanza spazzava via ogni paratia, trascinava a valle ogni dubbio, ogni paura. Nulla era più dolce e terribile di quel miraggio.
Un padre moriva e lasciava le sue scarpe ad un figlio che nasceva e il cammino continuava. Lungo, duro, gioioso.
Di giorno quel limo umano si muoveva verso nord con i sogni in avanscoperta come  primi pionieri di un'epoca nuova e ad ogni calar della sera la fiumana si addensava in pantani improvvisati lungo la via dove ognuno trovava conforto.
Una fetta di lardo sul pane, un piatto di mais e fagioli, patate con lo strutto. Per i più fortunati una porzione di carne. E a fine serata c'era sempre chi preparava il caffè per tutti, gente conosciuta e gente mai vista prima; e c'era chi suonava e cantava: era importante, saper suonare e cantare, perché l'anima vuole nutrirsi tanto che il corpo.
La mattina, poi, al primo sorgere del sole, le tende rappezzate e i sacchi a pelo svanivano e la marea saliva di nuovo muovendosi verso nord e verso ovest. Donne, vecchi, bambini; esseri umani gli uni vicini agli altri, ed erano tanti.
Le carrette, comprate per un prezzo esorbitante da venditori con occhi piccoli e fronte bassa, si muovevano a passo d'uomo, mentre vecchi muli ceduti per due soldi diventavano carne da stufato. Carrette di ogni marca e modello, carrette americane che tornavano a casa. Carrette cariche di ogni cosa fossero riusciti a portare via dalla miseria e dalla devastazione: pentole, materassi, provviste, vecchie assi di legno schiodate chissà perché dalle pareti di quella che un tempo chiamavano casa e messe lì forse a far da sponda a tutta quella vita ammucchiata alla meglio e coperta con un telo di ricordi.
Ma i ricordi svanivano lenti di fronte al sogno, e allora gli uomini già si vedevano a raccogliere prugne e arance e pesche al sole della California, e per ogni pesca un sorriso, e per ogni arancia gialla come il sole, un brutto ricordo che sbiadiva. E poi una casa, una casa sì, una piccola casa bianca dalla quale una voce di donna li avrebbe chiamati quando fosse stata ora di pranzo; una piccola casa bianca verso la quale avviarsi stanchi e contenti.
E intanto la corrente trasportava sogni, desideri, ossa vecchie e ossa giovani. Ossa affamate.
Una donna allatta il figlio appena nato. È  nato in viaggio come Gesù bambino, ma senza mangiatoia né bue né asinello, mangiati entrambi per la strada o venduti in scatola al supermarket.
Una donna allatta il suo bambino nato in viaggio come Cristo e quando il Redentore è sazio e non piange più, lo stesso seno passa alle labbra avide di un altro Salvatore la cui madre non ha latte a sufficienza e poi ancora, di bocca in bocca, a quelle di un vecchio che non salverà nessuno, ma ha fame e non più denti, e si nutre di quella solidarietà liquida e dolciastra che sgorga così uguale per ogni fame dal seno di una donna riempito ormai solo dalla speranza.
Dall'altra parte delle concertine occhi spaventati li guardano. Occhi chiari di fredda indifferenza, occhi scuri di terrore, occhi che cercano in quella miriade di stracci e vite ammassate poco oltre una line inesistente un motivo per odiare, perché se non odi il tuo nemico non puoi combatterlo, e il nemico adesso è lì, alle porte della loro  civiltà, appena dietro gli spunzoni rugginosi del filo spinato.
L'occhio del mondo è ancora su di loro, ma tace, perché una guerra senza morti non è una storia buona da raccontare. L'occhio del mondo li guarda e sa che presto potrà parlare, perché non esiste una guerra che non faccia morti.
L'occhio li guarda e adesso anche loro si guardano. Si guardano negli occhi, tanto sono vicini.
La marea di qua e quella di là da una linea inesistente.
Si guardano come soldati in trincea.
Si guardano e aspettano che qualcuno faccia la prima mossa.

Erano gli anni trenta e i contadini dell'Oklahoma, spinti dalla siccità e dalla depressione seguita alla crisi del '29 abbandonavano le loro terre per cercare fortuna in California. Americani in America. Ciò che trovarono ad attenderli fu esattamente lo stesso muro di indifferenza e paure che oggi separa il Nord del mondo dal suo Sud.

 

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Commenti al Post:
bluaquilegia
bluaquilegia il 05/12/18 alle 18:13 via WEB
una domanda k, hai letto Steinbeck, Faulkner, Hemingway, McCarty
 
 
bluaquilegia
bluaquilegia il 05/12/18 alle 18:21 via WEB
e compagnia bella? sì, perché la tua strada, rumorosa, sporca, trasandata, odora di una certa qualità di scrittura che mi ci ha spedito e senza tanti complimenti. se esiste una formazione di un lettore, il riferimento americano appartiene al mio primo viaggio letterario. ti devo ringraziare per alla rievocazione. cura k, 01
 
   
korov_ev
korov_ev il 05/12/18 alle 23:16 via WEB
Assolutamente sì, madame Aquilegia. In particolare, questo post, come lei avrà sicuramente capito visto che l'ha messo a capolista, era un chiaro riferimento a "Furore" di Steinbeck.
L'ho trovato così aderente a quello che sta succedendo oggi e non solo in America, che mi è venuto naturale riadattarlo in tal modo.
Speriamo che Steinbeck non se ne abbia a male: era un tipetto alquanto tignoso, sa? :-)
Buona serata, Madame
 
lacey_munro
lacey_munro il 07/12/18 alle 14:33 via WEB
Quando le LEZIONI DI STORIA, finalmente, Insegnano. Bravo...
 
 
korov_ev
korov_ev il 07/12/18 alle 16:07 via WEB
Eh, io ci spero sempre, Gio'. Purtroppo il fatto è che di solito chi legge me, la pensa come te, e chi la pensa come te certe cose le ha già "imparate" :-)
Ciao, Gio', e grazie per l'apprezzamento.
 
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 08/12/18 alle 16:59 via WEB
Un padre moriva e lasciava le sue scarpe ad un figlio che nasceva e il cammino continuava. Lungo, duro, gioioso...l'esodo umano si muove con i sogni, tutti gli uomini procedono in avanscoperta come pionieri, che lo vogliano - e lo sappiano - o meno.  La storia dei contadini dell'Oklahoma negli anni della grande depressione abbagliati dai miraggi splendenti di una California promessa è la storia dell’essere umano che armato di sola speranza, ma a volte arricchito di fede ed altre impoverito dalla disperazione, si dirige verso un posto fisico o un non-luogo collocato tra l'anima e la mente, dove trovar conforto. E poi, insieme ad un posto da poter chiamare accoglienza/casa/rifugio o semplicemente autocoscienza, ed insieme ad una fetta di pane per il nutrimento del corpo, troverà anche gente prima sconosciuta - fatta di simili e diversi da lui - che forse rimarrà estranea anche dopo essere diventata conosciuta, ma questo poco importa nell'economia del viaggio. Perché stranamente - soprattutto se si pensa che poi la si respinge e si rinnega come una patologia - ciò che più cerca l'uomo è la solidarietà. Anche perché da solo non va da nessuna parte. E così ci sono tanti simili e diversi che s'incrociano,  e c'é chi suona e canta, chi abbozza uno schizzo su un foglio, chi scrive...perché l'anima deve nutrirsi, come il corpo, e c'è chi impara a  deviare la punta dell’aratro per evitare una pietra, chi s’inginocchia tra i solchi e conosce la terra e la riconosce come madre, e sente. E anche il suo sentire è un'arte per l'anima. Ma poi, nel viaggio, c'è anche chi guida un trattore morto - che non conosce né vuole imparare a conoscere - e non sente la terra che coltiva, e chi non riesce ad ascoltare la musica come musica ma ne avverte solo il rumore o chi non ha mai cresciuto i suoi pensieri come figli, per farli diventare parole o immagini o bellezza. C'è chi fa dei ricordi vecchi una base d'amore sulla quale costruire la speranza nuova di zecca e chi li cestino come un'appendice indesiderata. Ma nel viaggio verso la "California promessa" di ognuno di noi, ciò che ciascuno trova maggiormente ad attenderlo, pur cercando solidarietà, o familiarità che dir si voglia, è proprio quello stesso muro di indifferenza di cui tu parli, lo stesso che oggi separa il Nord del mondo dal suo Sud, perché l'uomo cerca solidarietà come e più del pane, ma poi deve e vuole fare la guerra. E come dici precisamente tu, e non c'è forse un modo migliore per dirlo, se non ci si convince di odiare chi decidiamo di essere nemico non possiamo combatterlo, ma se guerra è, allora va ricordato che non esiste una guerra che non faccia morti. E visto il tuo tributo a Steinbeck, mio onnivoro amico, riprendo le sue parole per premetterti che io, personalmente, sarò sempre negli urli (volutamente,proprio, al plurale maschile) di coloro che si ribellano. Ma ti aggiungo anche, che non lo so se ci siano uomini nati al di fuori della natura umana, o se alcuni uomini siano tanto umani da far sembrare irreali gli altri, ma anch'io penso che, forse, un semidio vive di tanto in tanto sulla terra.
 
 
korov_ev
korov_ev il 11/12/18 alle 14:40 via WEB
Hai scritto parole più giuste del giusto, Psike: l'uomo chiede solidarietà come fosse pane per la sua fame, me poi lascia che un'altra fame ne divori tutti i presupposti. L'uomo chiede solidarietà, ma vuole guerra.
Vedi, Psike, tu lo sai io non sono pessimista, sono solo realista, e so per averlo vissuto, che raramente la parola "solidarietà" si concilia con la parola "proprietà", e quando si tratta di esseri umani, quasi sempre la seconda ha la meglio.
Chi ha qualcosa non lo cede così facilmente e solo quella forza chiamata necessità, spinge gli uomini a condividere tra loro ciò che hanno.
Solo quando si crea un obiettivo (o un nemico) comune si genera quella solidarietà di cui parli, e allora lo stesso seno allatta tutti, vecchi e bambini, ma è solo perché in fondo alla strada c'è quel sogno ad attenderli e da soli è più difficile raggiungerlo, mentre quando si è in tanti è più facile spingere la carretta verso il traguardo Il problema sorge dopo. Cosa succede dopo? Cosa succede una volta superato il traguardo?
Fino ad oggi è sempre andata così: i primi che arrivano prendono i posti migliori e menano colpi sulle nocche di quelli che provano a salire a bordo, perché una volta sulla barca, in meno si è e più spazio c'è per ognuno.
...Con buona pace di quella solidarietà che li aveva portati fin là.
Eppure io ancora non riesco a smettere di sperare in questa umanità.
Ciao, Psike cara :-)
 
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 08/12/18 alle 17:04 via WEB
E non lamentarti per la lunghezza, egregio korov, perché è solo colpa tua, tu inizia a scrivere post che lascino il tempo che trovano ed io ti scriverò sintetici commenti tipo: "complimenti", "riflessioni interessanti", "stia bene e mi saluti la sua famiglia"...e poi dopo aver scritto queste cose, però, sappi che mi andrò a costituire...,-PP
 
 
korov_ev
korov_ev il 11/12/18 alle 14:51 via WEB
E chi si lamenta!?!
Anzi, in armonia con quanto ho scritto nel post e nelle risposte ai commenti, io pensavo di accogliere a braccia aperte questo tuo dilagare di parole migranti arenate sulle spoonde sabbiose del mio blog.
Anzi, guarda, pensavo proprio di cederti direttamente il blog: le chiavi sono sotto il tappetino. Ci vediamo quando torno da Patong (mi hanno detto che lì sussistono... come dire? Molte piacevoli distrazioni, ecco :-)
P.S. Quando esci dai due mandate alla porta e ricordati di chiudere il gas.
 
   
ElettrikaPsike
ElettrikaPsike il 13/12/18 alle 19:26 via WEB
Mi cedi il blog? Davvero? Custodirò in tua assenza... ;-) Ma sappi che questa cosa potrà essere utilizzata contro di te...e anche a breve. Non si ritratta, korov_ev ;-P
 
woodenship
woodenship il 08/12/18 alle 20:05 via WEB
...Eppure,queste righe,mi fanno venire in mente anche altre immagini.Scene che hanno accompagnato l'umanità lungo tutto il suo cammino,sin dall'abbandono della culla africana.Un fiume alle volte carsico,altre travolgente ed irruente,come le grandi migrazioni barbariche delle popolazioni nomadi dall'Asia centrale che spingevano,in una sorta di gioco sanguinoso,altre popolazioni a spostarsi verso occidente,arrivando a cozzare contro le legioni dell'impero romano.Fiume,un termine che benissimo esplica e raffigura,metaforizzandolo,il movimento umano nella storia...A proposito di Faulkner, mi viene anche in mente il film di Scorsese,quello straordinario"Gangs of New York",in cui compare straordinariamente nitido lo scontro d'interessi e per la sopravvivenza, tra dimensioni criminali e indigene,con i nuovi arrivati, scampati alla fame della verde Irlanda,affamata dagli inglesi e dalle loro politiche di potenza della metà '800.Non poi così diverse da quelle messe in atto da Stalin nella Ukraina funestata dalla carestia tra gli anni '20 e '30. Così va il mondo, verrebbe da dire, anche riandando alle pagine di "Cronache marziane di Bradbury",quando immagina un futuro fiume di persone di colore che abbandonano il sud schiavista americano,per emigrare sul pianeta rosso e trovarci la libertà.Qualcuno ha detto che la Storia non si ripete.Ma,anche quella di questi nostri giorni,sembra ripetersi all'infinito,pur se con modalità leggermente diverse,ma con analogie davvero sorprendenti.Per quanto mi riguarda ho sempre pensato che occorresse una capacità di governo in grado di depotenziare la pericolosità di queste migrazioni.Ma le politiche di certi individui,stanno al contrario dimostrando tutta la cecità dell'essere umano e la sua incapacità di imparare fino in fondo dalla storia.Certi processi non si possono fermare.Il fiume di persone,come il fiume d'acqua ha funzioni vitali:fecondare e rinnovare.Dunque vale la pena provarci a governare il fiume,facendo in modo da contenere i danni e accentuare i vantaggi.Piuttosto che,ottusamente,provare a bloccarlo,per poi esserne travolti alla prossima inarrestabile piena.........Splendide righe di una narrazione che restituisce l'epopea ad un genere umano troppo spesso condizionato dalla rimozione...........Ciao Korov,un sereno fine di settimana a te....W.......
 
 
korov_ev
korov_ev il 11/12/18 alle 14:39 via WEB
Sì, Wood, le migrazioni, piccole o grandi, spontanee o forzate, hanno sempre fatto parte della storia dell'umanità. E sempre, di volta in volta, i colonizzatori sono stati poi colonizzati, gli invasori, invasi.
Nei secoli andati i popoli colonizzati hanno sempre trovato il modo di far sopravvivere la propria cultura rinunciando magari ad una parte di essa e fondendola con quella delle popolazioni colonizzatrici per dare origine ad un'entità nuova.
È un moto di rinnovamento e oggi avremmo le capacità e le conoscenze necessarie per accoglierlo e farne tesoro, invece ci si oppone fino allo strenuo senza capire che quando una società ha raggiunto il suo limite, o si evolve e va oltre, oppure è destinata a soccombere.
 
Dotta.Ignoranza
Dotta.Ignoranza il 11/12/18 alle 11:11 via WEB
Se l’uomo fosse stato capace di comprendere - fino in fondo la natura -, avrebbe trovato tante risposte ai suoi perché, compreso i “fenomeni” migratori. Se la domanda è sbagliata la risposta non può che essere, a sua volta, distorta e poco aderente ai fatti che li ha generati. Un caro saluto! :-).
 
 
korov_ev
korov_ev il 11/12/18 alle 14:39 via WEB
Sicuramente quello che dici è giusto, Dotta, ma siamo sicuri che l'uomo non comprenda? Io sono più portato a credere che non voglia comprendere.
La storia raccoglie in sé così tanti esempi che sarebbe davvero stupido pensare di poter ripetere gli stessi passi senza compiere gli stessi errori. Ora io mi chiedo se quest'uomo che continua a non comprendere sia più idiota o più diabolico.
Buona serata, Dotta :-)
 
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