IL MONDO CHE VORREI

VUOI LA GUERRA? E GUERRA SIA!


Caro il mio cane nero,                in amore e in guerra tutte le armi sono ammesse. Così recita un vecchio detto popolare ed io, che sono in guerra con te da ormai quasi cinque anni, da domani adopererò le armi che riterrò più appropriate per sconfiggerti una volta per tutte.                Si, carissimo, perché ieri è tornato il mio Angelo. Manolo, l’Angelo che era andato a Cuba a trovare la sua famiglia e, con l’occasione, ha sprecato una giornata per potermi reperire quel farmaco, l’Escozul, di cui tanti parlano.                Tu, in questi anni, nei miei confronti hai messo in campo tutte le tue risorse. Mi hai fatto male veramente. Hai distrutto la mia vita, il mio aspetto, la mia voglia di vivere. Adesso tocca a me. Adesso sono io che, oltre le tradizionali cure che continuerò a fare, ti aggredirò, ti affronterò, corroderò la tua forza. Ti sconfiggerò.                 Ho iniziato questa lettera chiamandoti “Caro il mio cane nero”. Ti ho chiamato caro perché tu, ormai, fai parte di me, sei un altro organo che è cresciuto dentro di me. Ma, a differenza degli organi che naturalmente abbiamo con la nascita, tu non hai niente di buono da offrirmi. Nonostante questo, però, mi sono quasi affezionato a te. Sembra quasi che io ti consideri come un fratello minore al quale, se ce ne è bisogno, qualche volta si parla in modo pacato cercando di fargli capire quanto inopportuna sia la sua presenza, altre volte invece è necessario adoperare le cattive maniere per essere rispettati.                Tu non rispetti nessuno. Non hai pietà per nessuno. Hai detto bene l’altra volta, ti ricordi? Hai detto: “ Io devo fare il mio lavoro e cerco di farlo nel miglio modo possibile.” Fino adesso lo hai fatto, il tuo lavoro, e lo hai fatto talmente bene che nonostante le armi da me adoperate fino ad ora, ancora sei li, attaccato a me come una sanguisuga. Tu vivi delle sofferenze altrui. Sei un qualche cosa che succhia la vita agli altri per poter vivere. Sei un parassita. Ma, come tutti i parassiti, prima o poi trovano qualcuno che li schiaccia sotto i piedi.                Non sono arrabbiato con te, credimi. Sono stanco di sopportare le tue angherie. Sono stanco di veder fuggire da me quello che, invece, mi farebbe piacere avere fino all’ultimo giorno della mia vita.                Ho perso tanto, forse tutto, da quando abitiamo insieme in questo appartamento che è il mio corpo.  Hai preso possesso di me in modo subdolo, sleale. Non mi hai dato alcun avvertimento, prima di entrare. Non hai bussato alla mia porta. Forse l’hai trovata aperta per mia distrazione, e tu sei entrato. Adesso, però, basta. Adesso, però, inizia una nuova guerra tra te e me.                 Io, potrò anche perderla, questa guerra, anche perché non tutte le guerre si vincono. Ma il solo rubarti un minuto di vita a mio favore, sarà per me una vittoria. Qualche anno fa vidi un film, “Il ruggito del topo”. Tu non puoi averlo visto, o forse si, non lo so. L’interprete principale, ricordo, era Peter Sellers. Il film parla di un piccolo stato, che non è presente neanche sulle carte geografiche, che dichiara guerra all’America e la vince.                Io sono il topo. Tu sei l’America. Io vincerò. Tu perderai.                Non ci credi? Ricordati che pochi giorni fa ci siamo lanciati una sfida, raccolta da ambedue, ed io non sono affatto disposto a perdere. Ricordati un’altra cosa, la nostra sfida è come un incontro di pugilato, ma qui i colpi bassi sono permessi, anche perché non c’è un arbitro. Tra me e te chi perde non esiste più. Ed io ho ancora un po’ di cose da fare e non sarai certo tu ad impedirmelo.                Alla prossima, cane nero, e che vinca il migliore.                                                                                                                                             Enrico