l'ippocampo

Artico


Vorrei raccontarvi di Artico. E’ un nome fuori dal comune Artico e non è quello di una bestiola ma di un essere umano. Lo conobbi un quarto di secolo fa al paese di mio padre, in Romagna, durante una vacanza estiva. Aveva una trattoria di quelle a conduzione familiare che gestiva insieme alla moglie, un donnone extra-extra-large, e lui alto e secco. L'ingresso del locale era in una via laterale, seminascosto, e il portoncino aveva quelle frange di plastica colorata che ondeggiano al vento e che, quando varcavo la soglia, mi si appiccicavano addosso come liane o serpenti che pendono dagli alberi e dovevo fare giri su me stessa per districarmi da quei tentacoli... Me lo ricordo nei mezzodì assolati, quando fuori c'era l'afa che mi buttava giù la pressione e trovavo sollievo tra i muri in pietra che mantenevano l’aria più fresca. L'arredamento era quello tipico delle trattorie di paese, le tovagliette immancabilmente a quadretti, c’erano le mosche che facevano la spola tra la cucina ed i piatti dei clienti, in un angolo c'era il televisore poggiato come un trofeo sopra un carrello alto di vetro e sotto, a nascondere non so cosa, c'era una tendina di cotone stampata a fiori, come quelle che mia mamma metteva sotto al lavello in cucina... Un personaggio estroso Artico, originale, all'apparenza burbero. Girava tra i tavoli per raccogliere "la comanda" che scriveva su di un taccuino con le paginette tutte con le orecchie... e portava sempre con sé uno straccio (che definire strofinaccio richiede coraggio) che usava alternativamente per: disappannare i bicchieri, tramortire le mosche, asciugarsi il sudore dalla fronte (lo so, state inorridendo). Ma sua moglie cucinava bene e praticavano prezzi modici… Artico non si occupava solo di quel locale ma aveva la passione per l'arte, seppure a modo suo. Suonava nella banda del paese, dipingeva e realizzava strane creazioni: ad esempio ricordo che alla sera, nel giardino, quando la gente andava a prendere qualcosa di fresco da bere, ebbene Artico passava con un vassoio e chiedeva: “Te, la vuoi una fetta di cocomero?” con quel suo accento tipico e, serio, su ogni tavolino poneva la sua fetta di anguria. Di legno. Intagliato e dipinto da lui. (L'immagine è stata prelevata dal web)