Creato da fiore.parisini il 28/10/2013
Una donna nel corpo di un uomo

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

dolcettoannaflashpoint1969CICCIOFANTASYachilledgl11julius23un.fumettomassimo5555C.arm.Alaurodzeurobeauty12mar.tilagallomicarlo.piazza302golf312597AlexR55
 

Chi puņ scrivere sul blog

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Dall'amica di mia madre...

A Venezia

Post n°6 pubblicato il 30 Maggio 2016 da fiore.parisini
 

Avevo ormai 15 anni e da settembre del 1988 ci siamo dovuti trasferire a Venezia per motivi di lavoro di mia madre. Per me il cambio di scuola non è stato traumatico perché tanto ero piuttosto isolato anche a Roma. Non avevo più messo la gonna e gli stivali di gomma e un po' mi mancava. Frequentavo il Liceo Classico Foscarini, studiavo quasi tutto il giorno e nel tempo libero mi piaceva rimettere la casa a posto e cucinare per mia madre, che aveva ottenuto un ruolo dirigenziale e quindi rientrava spesso a casa tardi. A Venezia però pioveva spesso e qualche volta c'era l'acqua alta quindi era abbastanza normale andare a scuola con gli stivali di gomma. Mia madre me ne aveva comprai tre paia nuovi lì a Venezia, perché ormai avevo il 43 e 1/2: uno nero lucido, uno marrone della Superga modello Collina e uno verde bottiglia ed era quest'ultimo che indossavo quando c'era l'acqua alta. Poi mi aveva comprato un impermeabile lucido giallo con un cappellino che si annodava al collo ma non avevo ancora indossato. In quel periodo portavo i capelli abbastanza corti. Poi intorno a metà novembre mi arriva una richiesta: “Fiore, tesoro, stavi tanto bene quando indossavi le gonne. Lo so che ti vergogni ad andarci fuori, ma mi piacerebbe che le indossassi in casa. E poi mi piacerebbe ricomprarti un po’ di cravatte e papillon e che ci tornassi a scuola”. Così, un giorno, tornata dal lavoro, mi aveva comprato almeno 10 cravatte e 20 papillon. Poi a casa mi cambio ed avevamo fatto un patto: un giorno si e un giorno no stavo in casa con la gonna. Mi ci trovavo a mio agio e mi sentivo, come si dice in inglese, una “sissie”.

 

Intanto a scuola, facevo il terzo liceo, inizio a indossare tutti i giorni le cravatte. Qualcuno mi prende in giro, soprattutto quelli delle classi più grandi. Poi un sabato mattina pioveva a dirotto e mia madre mi fa mettere un papillon rosso a pallini con una giacca grigia. Poi mi dice: “Caro, ti metti il kilt?”. Io le rispondo di no, perché mi vergognavo anche se mi sarebbe piaciuto. Mia madre mi fa indossare dei pantaloni alla zuava grigi a quadri che in realtà con gli stivali di gomma neri che stavo indossando per la prima volta e l’impermeabile giallo. Quando arrivo a scuola scoppiano tutti a ridere. Io, con un sorriso tirato: “Cosa ridete, stupidi?”. t. Poi mia madre mi viene a prendere a scuola. Era sabato e aveva finito di lavorare presto. Andiamo in un negozio dove aveva visto una tailleur Principe di Galles marrone chiaro da signora e una gonna abbinata che mi arrivava sopra il ginocchio. E, a casa, mi sono cambiato il completo assieme a un papillon di lana abbinato, dei collant chiari color carne che indossavo con delle pantofole della Superga a scacchi. Stavo leggendo un libro seduto su un divano vicino mia madre mentre ascoltavamo Mozart quando squilla il telefono. Era la biblioteca e diceva che quel giorno avrebbe chiuso alle 16 invece che alle 18 per inventario. Erano già le 15.20 e io mi ero organizzato che mi sarei cambiato intorno alle 16.30 e poi sarei andato a prendere mia nonna al treno alle 18, visto che ci veniva a trovare per due giorni e poi saremo andati a vedere La Tosca. Dovevo restituire dei libri ed era l’ultimo giorno. Io, terrorizzato, chiedo a mia madre: “Mamma oddio, non faccio in tempo a cambiarmi”. Se volevo arrivare in tempo, sarei dovuto uscire in quel momento visto che a piedi, a passo svelto, ci volevano almeno 20 minuti. Mia madre ha fatto un sorriso beffardo: “Fiore, no che non fai in tempo”. Fuori diluviava. Mamma allora mi aiuta a togliermi le pantofole e mi infila gli stivaloni di gomma neri lucidi, poi mi aiuta a mettermi l’’impermeabile di gomma giallo che mi copriva appena mezzo ginocchio e mi allaccia il cappello. I libri non si dovevano bagnare e allora ecco che mi da una delle sue borse. Poi mi dice: “Quando hai fatto non ripassare a casa. Ci vediamo a Piazza San Marco dall’ottico che ritiriamo i tuoi occhiali da vista nuovi”. Esco senza pensarci troppo, prendo l’ombrello e vado al vaporetto. Pioveva un po’ meno forte ma sentivo comunque gli schizzi d’acqua sulle gambe scoperte, sensazione che non provavo da tempo. Riprovavo la vergogna e il piacere degli sguardi addosso. Sul vaporetto resto in piedi e stavo morendo dal freddo. Poi scendo e faccio un quarto d’ora a passo veloce verso la biblioteca. Arrivo e c’è un po’ di fila. Ci sono due ragazze con cui frequento il Conservatorio. Cerco di non farmi riconoscere, ma una di loro mi chiama. Nella fila c’erano due persone che ci separavano. Poi pensavo che se ne andassero e invece mi aspettano. Una, Janet, di origine inglese, aveva una gonna scozzese e gli stivali di gomma bianchi mentre Elisa aveva  i pantaloni ma anche lei con gli stivali di gomma verdi. Ci salutiamo baciandoci sulle guance ed Elisa mi fissa le gambe scoperte mentre Janet mi fa un sorriso e mi dice: “Come sei elegante oggi, Fiore!”. Il custode della biblioteca ci dice: “Su siorine, stiamo chiudendo”. Con quel signorine, ho riprovato l’ebbrezza di essere femmina e mi sentivo come se stessi parlando con due amiche. Andiamo fuori sotto un posto riparato per continuare a parlare ma l’acqua continuava a venire giù. Elisa mi dice: “Ma stai indossando i pantaloni corti”. Io la guardo vergognandomi da morire e le dico di no. E lei: “Nooo, fammi vedere. Hai la gonna”. Io allora, con coraggio, mi sbottono l’impermeabile e Janet mi fa: “Ma sei elegantissimo”. “Ti va di andarci a prendere un tè?” dice Elisa. Avevo mia madre che mi aspettava allora la chiamo da una cabina: “Mamma, tardo una mezzoretta, sono con due amiche del conservatorio”. Entriamo in un bar. Ci sediamo. Io avevo l’impermeabile addosso ma non faccio neanche in tempo a sedermi che arriva il cameriere a prenderci gli impermeabili. Mi fissa un attimo ma poi fa finta di niente. Mi siedo e parlo con loro. Prendiamo del thé, mi sentivo come una brava signora inglese. Parliamo di musica classica e di teatro, due mie grandi passioni e le ho detto ,oro che la sera sarei andato a vedere la Tosca. Ero rilassato e stavo bene. Poi ho dovuto lasciare le mie amiche perché non volevo far tardi da mia madre per raggiungerla dall’ottico. Bacio le ragazze e il cameriere mi riporta l’impermeabile fissandomi un po’. Io lo guardo e gli accenno un sorriso. Era un bel ragazzo e mi è piaciuto il odo gentile in cui mi ha aiutato a metterlo. Poi esco. Aveva smesso di piovere ma tirava vento. E poi in alcuni punti la città era allagata. Mentre sto arrivando, un turista mi chiede in inglese un’informazione che io gli do volentieri. Mia madre mi aspettava davanti il negozio e mi ha visto da lontano. Quando arrivo la abbraccio e la bacio e lei mi ha detto: “Ti ho visto da lontano, sei bellissimo”. Entriamo e l’ottico mi guarda un po’ strano dopo avermi visto gli stivaloni di gomma e le gambe scoperte. Con i capelli corti ero come un ragazzo vestito però interamente da donna. Ci fa andare in uno stanzino dietro al negozio per provare gli occhiali. Li tira fuori e anch’io ci resto un attimo perché il modello era femminile, con montatura spessa nera, piuttosto grandi e quasi a forma di cuore. Mi tolgo il cappello per provarli meglio. Poi lui ci dice: “Scusi un attimo”. Va d là e mia madre sento che dice alla collega: “Non ho capito ancora se è un ragazzo o una ragazza”. Allora mia madre mi dice: “Ci stai benissimo, valli a provare in quello specchio grande”. E mi fa togliere l’impermeabile. L’ottico e la sua collega vedo che mi fissano e allora io, sciolto, mi dirigo verso di loro e gli chiedo: “Me li può stringere un po’”. Lui me li stringe poi mi da l’astuccio m io gli dico: “No, li tengo”. Poi mamma paga e usciamo, diritti verso la stazione per andare a prendere la nonna per andare poi tutti insieme all’Opera.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/fioremaria/trackback.php?msg=13409735

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
Nessun Trackback
 
Commenti al Post:
Nessun Commento
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963