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Diario clandestino

Il diario di Lord Henry

 

 

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La perfezione

Post n°925 pubblicato il 27 Novembre 2009 da Henry.Wotton
 

Sabbia. Arida. Apparente perfezione candida tutt’intorno. Ma la vita, la vera vita, dov’è? Lo sguardo scorre ovunque senza scorgerne traccia. Eppure esiste. Deve esistere. Per certo è esistita qui. Con questi occhi osservo intorno a me e dentro di me, con un dolore immenso che non riesce ad uscire. Che non voglio far uscire. Nascosto dietro a lenti scure. Dietro alla grinta palesata ma che è di maniera, svogliata. Qualche giorno fa in un incontro di lavoro, sommerso da parole, dalla logorrea del mio interlocutore non ho fatto altro che staccare la spina. Era tutto vuoto, non aveva un sento. E una sera, invece, una telefonata mi ha commosso. Avrei voluto piangere, avrei dovuto piangere e singhiozzare e maledire la vita. Ma no, invece: la fierezza, l’orgoglio, la maschera, il carapace, tutto ha preso il sopravvento. Prende sempre il sopravvento. Su un animo che è diventato sempre più insensibile, su un animo che avrebbe voglia di infiammarsi. Ma non riesco. Mi sporgo spesso oltre al parapetto, ma non resisto all’urto dei marosi freddi che sferzano il mio volto e mi ritiro nella mia cabina. Già. La mia cabina. Lussuosa, lussuriosa, accogliente, accarezzata costantemente dalla passione e dal desiderio, ma quanto genuini? Temo di conoscere la risposta a questa domanda e non è piacevole ammetterlo. Un abbraccio giorni fa non avrebbe dovuto interrompersi: quello era genuino. Quella è stata la parte più vera della mia vita, dei miei sentimenti. Eppure continuo a vivere le mie sensazioni come un giocatore inetto al tavolo della roulette, certo delle poche fiches tra le proprie dita e indeciso sul numero su cui riporle. Altre puntate sono andate. Ne restano sempre meno. Una basterebbe a dare la svolta. Arido, refrattario al rischio, stringo nervosamente quei piccoli dischi di plastica come se fossero la vita. Non sono la vita neppure quelli. Cosa è la vita, allora? Consumare tempo e polpastrelli sulla tastiera, forse? Ho bruciato tante persone, continuo a farlo e persisto a cercarle per poi avvelenarle. Non ho bisogno di un ritratto in soffitta per ricordarmi la forma della mia anima, tutto è impresso indelebilmente. Come si fa ad essere generosi? Io non lo so. Lavoro sulla forma, continuo a plasmarla con il mio personalissimo stile. Penso a quell’opera plastica ed aggettata del mio scultore preferito che ho potuto osservare giorni orsono. Una nuova persona all’orizzonte, è inevitabile. Sei pronta dall’essere deliziata e martoriata? Sei pronta a scivolare inevitabilmente sulle pareti verticali della mia sicurezza? Sei pronta ad ascoltare il mio silenzio quando mi chiederai aiuto? Temo di no, ma non farò nulla affinchè tu eviti il tuo destino per finire in quella fossa comune ormai così popolata. Non ho voglia di ridere, ma lo faccio. Non ho voglia di uscire, ma lo faccio. Non ho voglia di discutere, ma lo faccio. Non credo in nulla. Ho dovuto imparare una nuova dimensione negli ultimi anni e sono riuscito a capire che era giusto, bello, opportuno ricostruire una dimensione di edonismo individuale: eccome l’ho imparato. E’ così semplice elargire piacere assoluto per poche notti, infliggendo ferite che resteranno nel tempo. L’altra mattina le lacrime di una persona mi hanno segnato ma non così tanto da fare in realtà alcunché. Torno a pensare che tra adulti ognuno è per sé e che i propri sbagli si debbano scontare in prima persona. Arrivo al punto di avvisare prima, ma vi attaccate ancora di più a me: non riuscite a capire che vi tengo per i capelli e che soffrite e che soprattutto al primo broncio infantile aprirò la mano? La mia sterilità è questa: ho ammassato buon gusto, oggetti, stile, cultura, libri, opere d’arte, luoghi, ne sono ricchissimo ma vi lascio guardare e non toccare, vi lascio assaggiare ma non vi sfamo. Ho ricevuto molto e dato poco in cambio. Sere fa mi è stato detto che è arrivato il momento di diventare buono. Si rideva ma al solito il commento di quella persona su di me è centrato. Riesce a guardare dritto dentro alle mie pupille e scorgere quel ritratto osceno che è chiuso dentro. Ci sono stati momenti belli, ci sono e ce ne saranno. Ma ho visto da troppo poco tempo un corpo consunto lottare per restare aggrappato alla vita: io pensavo che tu lottassi ancora un po’ e pensavo che, come hai sempre fatto, vincessi anche questa sfida. Invece no. La mattina successiva niente lotta, solo un corpo freddo, sempre più rigido, sempre più grigio. Una realtà irreale, perché è una contraddizione. Non può essere così, non deve essere così. Ci sono persone che mi sono vicine ma che hanno l’accortezza, la saggezza o anche solo la pigrizia che li mantiene ad una debita distanza. Le conosco una a una, conosco i loro nomi. Per loro riesco a provare un moderato riguardo, pur con la tentazione frequente di avvicinarmi e divorarli. La pelle raggrinzisce. La forza decade. La cattiveria temo di no.

siva uvaca (siva said)

smu devi pravaksyami kunjika stotram uttamam yena mantraprabhavena candijapah subho bhavet

(Listen, Oh Goddess, while i elucidate the excellent song which gives the key to perfection. By means of the brilliance of these mantras, the meditation of the goddess Chandi becomes easy)

na kavacam nargala stotram kilakam na rahasyakam na suktam napi dhyanam ca na nyaso na ca varcanam

(Not the armor, nor the praise which unlocks the bolt, nor the praise which removes the pin, nor the secrets: neither the hymns, nor even the meditations, nor the establishment of the mantras into the body nor the offering of worship and adoration)

kunjika patha matrena durga phalam labhet
ati guhyataram devi devanamapi durlabham

(The recitation of the mantras which give the key will grant the fruits of the recitation of the glory of the goddess. Oh Goddess, this is extremely secretive and difficult even for the Gods to attain.)

gopaniyam prayatnena svayoniriva parvati maranam mohanam vasyam stambhanoccata nadikam
patha matrenam mohanam vasyam stambhanoccata nadikam
patha matrena samsiddhyet kunjika stotram uttamam

om aim hrim klim camundayai vicce om glaum hum klim jum sah jvalaya jvalaya jvala jvala
prajvala prajvala aim hrim klim camundayai vicce jvala ham sam lam ksam phat svaha

namaste rudra rupinyai namaste madhu mardini namah kaitabha harinyai namaste mahisardini

namaste sumbha hantryai ca nisumbhasuraghatini

jagratam hi maha devi japam siddham kurusve me aimkari srsti rupayai hrimkari prati palikwa

klimkarf kama rupinyai bija rupe namo stu te camunda canda ghati ca yai kari varadayini

vicce cabhayada nityam namaste mantra rupini

dham dhim dhum dhurjateh patni vam vim vum vagadhisvari
kram krim krum kalika devi sam sim sum me subham kuru

hum hum humkara rupinyai jam jam jam jambhanadini
bhram bhrim bhrum bhairavi bhadre bhavanyai te namo namah

am kam cam tam tam pam yam sam vim dum aim vim ham ksam
dhijagram dhijagram trotaya trotaya diptam kuru kuru svaha

pam pim pum parvati purna kham khim khum khecarf tatha

sam sim sum saptasati devya mantra siddhim kurusva me

idam tu kunjika strotram mantra jagarti hetave abhakte naiva datavyam gopitam raksa parvati

yastu kunjikaya devi hinam saptasatim pathet na tasya jayate siddhir aranye rodanam yatha

om aim hrim klim camundayai vicce
om glaum hum klim jum sah jvalaya jvalaya jvala jvala prajvala prajvala aim hrim lim camundayai vicce jvala ham sam lam ksam phat svaha.

(D. Sylvian, 'The song which gives the key to perfection')

 
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