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Post N° 9


Una soluzione si troverà. Nessuno pensa seriamente che il no di poco più della metà del poco più della metà di cittadini irlandesi che hanno votato al referendum sul Trattato di Lisbona possa davvero bloccare il cammino dell'Unione europea, nella quale gli abitanti dell'Eire pesano per uno scarso uno per cento. Giovedì e venerdì i ministri degli Esteri dei 27 avranno forse già sul tavolo le carte per discutere come uscire dalla penosissima impasse. Ripetere il referendum? Difficile giuridicamente e democraticamente discutibile. Più probabile che si trovi il modo di offrire a Dublino l'opting out da un Trattato che comunque verrebbe ratificato da tutti gli altri, anche dai paesi che mancano ancora all'appello (tra gli altri l'Italia), sperando che il colpaccio gaelico non abbia intanto fatto scuola nelle capitali meno entusiaste: Praga, Varsavia e, of course, Londra. Non sarà semplice ma, con qualche stiracchiatura, si può fare e probabilmente si farà.Insomma, la crisi è grave non per quello che accadrà. Lo è invece per ciò che è già accaduto. Per quello che il voto irlandese ha fatto leggere in controluce dello stato delle istituzioni europee, dei rapporti tra queste e le strutture nazionali, dell'enorme peso degli attriti che ne bloccano l'evoluzione. E - è l'aspetto sul quale forse vale la pena di riflettere con più attenzione - dello spirito pubblico europeo in questo momento storico, dei sommovimenti che stanno avvenendo nella pancia di società alle prese in ogni paese dell'Unione con le proprie paure, le proprie incertezze e i propri egoismi. Fonte: http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=76306