In principio era Nero...L’allevamento dei suini nel Lazio ha una storia da lontano. Dai Romani che ne apprezzavano le innumerevoli possibilità di uso, al secondo dopoguerra, quando nelle campagne in inverno si feteggiava il rito cruento e affascinante dell'uccisione. Dopo anni di abbandono, negli allevamenti d’eccellenza si rivedono le antiche razze, un tempo diffuse tra i monti Lepini e la Val Comino e le campagne sabine.Nobile e nero. Stiamo parlando del maiale, abitualmente considerato il più umile degli animali. Non la pensavano cosi gli antichi latini, che al maiale (il cui nome alluderebbe alla dea Maia, madre di Mercurio, a cui veniva offerto in sacrificio) dedicavano ampio spazio nella mitologia, nel simbolismo e nella letteratura considerandolo un animale sacro. Senza disdegnarne gli aspetti legati al gusto. Non a caso, Plinio ne decantava le qualità delle carni e la loro versatilità: “Da nessun altro animale si ricava più abbondante materiale per la ghiottoneria – scriveva – la carne di maiale ha quasi cinquanta sapori diversi, tutti gli altri invece ne hanno uno solo”. Si sa, infatti, che del maiale non si butta via niente, o quasi: ogni sua parte dà leccornie deliziose, che si tratti di pregiati prosciutti o prodotti più poveri ma ugualmente gustosi come salsicce, sanguinacci e fegatelli. All’epoca dei Romani, però, e fino a tempi piuttosto recenti, i maiali erano un po’ diversi da quelli che siamo abituati a vedere ai nostri giorni. Più piccoli, talvolta del tutto privi di peli e appunto di colore scuro.Nei paesi della Val di Comino venivano spesso allevati nelle case, nutriti con avanzi delle coltivazioni o con farine impastate con l’acqua di cottura della pasta, fino all’ingrasso che li vedeva trattati da principi per ottenerne carni dal sapore straordinario. Il maiale era infatti una specie di “salvadanaio” (non a caso questo ne ha spesso la forma!), un investimento che garantiva di che sfamarsi e cucinare durante l’anno (con lardo, salsicce e altro) ma anche un piccolo gruzzolo ottenuto dalla vendita dei prosciutti.Gli anziani della zona ancora ricordano il rito – al tempo stesso orrido e affascinante – dell’uccisione del maiale, in cui ognuno aveva il suo ruolo, dall’esperto scannatore alle donne che raccoglievano il sangue dell’animale per farne sanguinacci.Storie d’altri tempi, quando del maiale si apprezzava paradossalmente quasi più il lardo delle carni, il che rendeva la Casertana una delle razze più pregiate. Non per nulla, un nobile britannico ne introdusse alcuni esemplari nella contea dell’Essex per nobilitare e irrobustire le razze inglesi.Ma saranno proprio le razze “rosate” dell’Europa continentale, più adatte all’allevamento intensivo e dalle carni più magre, a sostituire quasi del tutto i maiali neri - già decimati nel Basso Lazio dalle razzie delle truppe tedesche durante il secondo conflitto mondiale - vanificando gli sforzi della Provincia della Terra di Lavoro che prima della guerra aveva cercato di istituire una sorta di libro genealogico per tutelare questa razza che, un tempo diffusissima, stava lentamente scomparendo.Oggi stanno rinascendo allevamenti per il recupero dell’antica razza, anche grazie alll’intervento della L.R. 15/2000 per la tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario.... NELLA PROVINCIA DI RIETI.... La provincia di Rieti – famosa per eccellenti salumi come il Guanciale Amatriciano o la coppa di testa – è invece la patria storica del maiale Nero Reatino, altra razza nera quasi estinta. Alcuni anni Ottavio De Angelis, recuperò dall’allevamento di famiglia nella frazione Sala di Rieti (a circa 800 metri di altitudine) alcuni esemplari di questa razza, diffusa in tutta la provincia fino agli anni ‘50 e poi quasi scomparsa: dai suoi animali sono poi partiti diversi allevatori della zona, che stanno formando un Consorzio.Artefice del recupero dell’antica razza scura è L'AZIENDA AGRICOLA "LE FONTANELLE" dove Vincenzo Marchetti, allevatore di Contigliano, che dai suoi maiali ottiene ottime carni e squisiti salumi lavorati artigianalmente e senza utilizzo di prodotti chimici: «Il Maiale Nero Reatino non è stato riconosciuto come razza a sé - racconta - perciò ho iscritto i miei animali all’Albo della razza Apulo-Calabrese, a cui appartengono un po’ tutti i maiali neri dell’Appenino centro-meridionale tranne la Cinta Senese e la Casertana. Arrivarono qui probabilmente sotto il dominio dei Borboni».Nel Reatino come in altre zone del Lazio, dunque, la “cultura del maiale” era molto sentita e l’allevamento familiare era molto diffuso insieme a una serie di rituali, tradizioni e usi popolari spesso legati alla figura di S. Antonio Abate, protettore degli animali domestici, legato a questo animale da varie leggende.
IL RITORNO DEL MAIALE NERO
In principio era Nero...L’allevamento dei suini nel Lazio ha una storia da lontano. Dai Romani che ne apprezzavano le innumerevoli possibilità di uso, al secondo dopoguerra, quando nelle campagne in inverno si feteggiava il rito cruento e affascinante dell'uccisione. Dopo anni di abbandono, negli allevamenti d’eccellenza si rivedono le antiche razze, un tempo diffuse tra i monti Lepini e la Val Comino e le campagne sabine.Nobile e nero. Stiamo parlando del maiale, abitualmente considerato il più umile degli animali. Non la pensavano cosi gli antichi latini, che al maiale (il cui nome alluderebbe alla dea Maia, madre di Mercurio, a cui veniva offerto in sacrificio) dedicavano ampio spazio nella mitologia, nel simbolismo e nella letteratura considerandolo un animale sacro. Senza disdegnarne gli aspetti legati al gusto. Non a caso, Plinio ne decantava le qualità delle carni e la loro versatilità: “Da nessun altro animale si ricava più abbondante materiale per la ghiottoneria – scriveva – la carne di maiale ha quasi cinquanta sapori diversi, tutti gli altri invece ne hanno uno solo”. Si sa, infatti, che del maiale non si butta via niente, o quasi: ogni sua parte dà leccornie deliziose, che si tratti di pregiati prosciutti o prodotti più poveri ma ugualmente gustosi come salsicce, sanguinacci e fegatelli. All’epoca dei Romani, però, e fino a tempi piuttosto recenti, i maiali erano un po’ diversi da quelli che siamo abituati a vedere ai nostri giorni. Più piccoli, talvolta del tutto privi di peli e appunto di colore scuro.Nei paesi della Val di Comino venivano spesso allevati nelle case, nutriti con avanzi delle coltivazioni o con farine impastate con l’acqua di cottura della pasta, fino all’ingrasso che li vedeva trattati da principi per ottenerne carni dal sapore straordinario. Il maiale era infatti una specie di “salvadanaio” (non a caso questo ne ha spesso la forma!), un investimento che garantiva di che sfamarsi e cucinare durante l’anno (con lardo, salsicce e altro) ma anche un piccolo gruzzolo ottenuto dalla vendita dei prosciutti.Gli anziani della zona ancora ricordano il rito – al tempo stesso orrido e affascinante – dell’uccisione del maiale, in cui ognuno aveva il suo ruolo, dall’esperto scannatore alle donne che raccoglievano il sangue dell’animale per farne sanguinacci.Storie d’altri tempi, quando del maiale si apprezzava paradossalmente quasi più il lardo delle carni, il che rendeva la Casertana una delle razze più pregiate. Non per nulla, un nobile britannico ne introdusse alcuni esemplari nella contea dell’Essex per nobilitare e irrobustire le razze inglesi.Ma saranno proprio le razze “rosate” dell’Europa continentale, più adatte all’allevamento intensivo e dalle carni più magre, a sostituire quasi del tutto i maiali neri - già decimati nel Basso Lazio dalle razzie delle truppe tedesche durante il secondo conflitto mondiale - vanificando gli sforzi della Provincia della Terra di Lavoro che prima della guerra aveva cercato di istituire una sorta di libro genealogico per tutelare questa razza che, un tempo diffusissima, stava lentamente scomparendo.Oggi stanno rinascendo allevamenti per il recupero dell’antica razza, anche grazie alll’intervento della L.R. 15/2000 per la tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario.... NELLA PROVINCIA DI RIETI.... La provincia di Rieti – famosa per eccellenti salumi come il Guanciale Amatriciano o la coppa di testa – è invece la patria storica del maiale Nero Reatino, altra razza nera quasi estinta. Alcuni anni Ottavio De Angelis, recuperò dall’allevamento di famiglia nella frazione Sala di Rieti (a circa 800 metri di altitudine) alcuni esemplari di questa razza, diffusa in tutta la provincia fino agli anni ‘50 e poi quasi scomparsa: dai suoi animali sono poi partiti diversi allevatori della zona, che stanno formando un Consorzio.Artefice del recupero dell’antica razza scura è L'AZIENDA AGRICOLA "LE FONTANELLE" dove Vincenzo Marchetti, allevatore di Contigliano, che dai suoi maiali ottiene ottime carni e squisiti salumi lavorati artigianalmente e senza utilizzo di prodotti chimici: «Il Maiale Nero Reatino non è stato riconosciuto come razza a sé - racconta - perciò ho iscritto i miei animali all’Albo della razza Apulo-Calabrese, a cui appartengono un po’ tutti i maiali neri dell’Appenino centro-meridionale tranne la Cinta Senese e la Casertana. Arrivarono qui probabilmente sotto il dominio dei Borboni».Nel Reatino come in altre zone del Lazio, dunque, la “cultura del maiale” era molto sentita e l’allevamento familiare era molto diffuso insieme a una serie di rituali, tradizioni e usi popolari spesso legati alla figura di S. Antonio Abate, protettore degli animali domestici, legato a questo animale da varie leggende.