La testa nel pallone

Cairo contestato: lascia?


Prima gli insulti, poi gli applausi. La prima giornata del Torino alla Sisport, ha avuto momenti di dura contestazione da parte di oltre duemila tifosi che avevano in tasca un arretrato di rabbia. Dal 31 maggio, giorno della retrocessione, non avevano più incontrato la squadra. «Colpa nostra, si sarebbero sfogati allora e non oggi», ha ammesso Cairo. Allora i giocatori fuggirono, ieri hanno dovuto affrontare la gente. Scelta coraggiosa e inevitabile della società, che adesso dovrà decidere se proseguire nella politica delle porte aperte o se tornare all’antico. Intanto i nuovi arrivati hanno pagato per colpe non loro. Stralunati Berlingheri e Gorobsov, che i tifosi hanno ignorato preferendo concentrarsi sui retrocessi. Imbrattato il muro di cinta della Sisport, destinatario dei murales più avvelenati il presidente Cairo definito «buffone e banfone». Il resto potrà arrivargli via telefono, visto che è stato scritto pure il numero del suo cellulare, anche se non erano più molti quello che non l’avevano in rubrica. Alle 17 l’allenamento con la colonna sonora di «vergognatevi», «Barone vai in pensione», «andate tutti a Palermo». Ad avere la peggio è stato Rubin dopo l’intervista in cui ammetteva il desiderio di seguire Dzemaili in Sicilia. Colantuono ha parlamentato con i più vicini alla ringhiera, poi ha diretto come ha potuto. Alle 19 fine di partitella e contestazione, i cinque agenti in divisa e i funzionari della Digos hanno controllato il deflusso del popolo che mescolava ultrà a nonne e bambini. Mentre partivano i fumogeni, atmosfera più distesa a pochi metri dove si è tenuto l’incontro fra Cairo e i rappresentanti del coordinamento, quelli della lettera aperta al patron per chiedergli la soluzione a tanti problemi. Dai biglietti omaggio che finiscono in mano ai bagarini, ai problemi dei diversamente abili, fino alla richiesta di un dirigente che gestisca i rapporti fra società e tifoseria. Provato dal caldo e dal confronto durato oltre due ore (sollecitato dallo stesso Cairo), il presidente è apparso meno battagliero del solito. Respinte al mittente tutte le domande di mercato («È un problema di Foschi»), l’editore alessandrino è poi uscito allo scoperto: «Non voglio essere la zavorra del Toro, se qualcuno vuole la società si faccia avanti». Una frase non del tutto originale, ma che questa volta assume un significato diverso se collocata nel momento storico che sta attraversando il Toro.La retrocessione, il crollo del fatturato, il mercato che non decolla, il rischio di non tornare subito in A: un insieme di spine che possono mettere a dura prova anche la resistenza presidenziale. Cairo è stato chiaro: «Ho cominciato quattro anni fa quando sapevo poco di calcio e avevo tanto entusiasmo. Ho cercato di imparare il mestiere, commettendo anche errori spesso per troppo amore. Io continuo a fare quello che posso in relazione alle mie possibilità che non sono illimitate. Il calcio è cambiato, non sono abbastanza ricco da poter fare grossi acquisti. Non sono nè uno sceicco, nè un petroliere russo. Il Toro non è mio per l’eternità, se qualcuno è più forte e bravo di me non mi opporrò, si presenti chi vuole». Amarezza, delusione, un attimo di comprensibile stanchezza? Un mix di tutto in questa torrida giornata strappata al lavoro. Oggi Cairo sarà di nuovo sulle barricate, ma intanto qualcosa scricchiola: «Dire non mollo, non vuol dire diventare un peso per il Toro. La serie B costa molto, nonostante la cessione di Rosina, siamo sotto di 14,5 milioni». Portafogli sigillato? «E’ il mercato più difficile degli ultimi vent’anni, ma il gruppo verrà modificato ancora. Ci saranno entrate e uscite. Foschi ha le risorse per operare come deve».(la stampa)GT