Il Gargano disse che

Vieste - Le Grotte di S. Nicola sono un sito archeologico?


Vieste - Le Grotte di S. Nicola sono un sito archeologico?
martedì 25 agosto 2015 ore 08:40
 Quando visitai, per la prima volta, Castel del Monte, una quarantina di anni fa, appresi dai custodi che fino a qualche anno prima, i pastori e i loro armenti avevano dimora stabile lungo le mura esterne del maniero, tra una torre e l’altra.Evidenti erano, d’altra parte, i segni lasciati dal fuoco e dal fumo dei bivacchi, impressi come firme sulle pietre e sui calcinacci, con nero antico e con nero più recente, tenaci e resistenti ai restauri, andati avanti fino a tutti gli Anni Ottanta del secolo passato. I pastori di Castel del Monte, che fino a tutto l’Ottocento occupavano anche gli interni di questo austero e misterioso edificio imperiale di Federico II, si comportarono come tutti gli altri pastori, abitatori e a volte unici conoscitori di siti archeologici. E’ di qualche tempo fa un articolo di Carlo Vulpio, sul supplemento domenicale del Corsera, sulla Grotta dei Cento  santi a pochi chilometri da Matera, rinvenuta, per caso, negli Anni Sessanta del Novecento, proprio su segnalazione di un pastore. 
Che, in quell’antro, ricoverava le sue pecore sin da quando era bambino. Sottoposta agli opportuni e necessari restauri, quella Grotta mostra al pubblico, dal 2002, lo splendore delle sue icone, risalenti, secondo gli studiosi, al periodo che va dal Settimo al Nono Secolo. Al periodo storico, cioè, in cui l’Occidente (il Papa) incoraggiava il culto dell’immagine/icona dei santi; e l’Oriente (l’Imperatore di  Costantinopoli) imponeva il divieto, conosciuto come iconoclastia, del culto dell’icona/immagine dei santi. L’Italia meridionale abbonda di cripte e di chiese rupestri, anche se poche possono vantare affreschi meravigliosi come quelli della Grotta dei Cento Santi e delle Grotte di Dio di Mottola, tra cui spicca anche una Cripta di S. Nicola. Vieste, terra di mare e di facile approdo per chi giungeva dall’Oriente, sicuramente attrasse e ospitò, nei secoli appena richiamati, esuli dell’iconoclastia, carichi di religiosità cristiana e di perizia nell’arte dell’icona. A testimoniarlo sono le grotte  di S. Nicola, un complesso rupestre situato nella parte alta della zona Pantanello, una volta piuttosto lontano dal centro abitato, oggi attorniato da palazzi e insidiato da altri che stanno per nascere. Rispetto ai siti archeologici di Mottola e di Matera, ripuliti e restaurati, una volta riconosciuti, il sito di Vieste è stato da sempre ritenuto soltanto un complesso di stalle per cavalli, e per bestiame minuto. Matteo Gentile, oggi sessantaduenne, garzone per quasi cinque anni tra quelle stalle, fino ai primi anni Settanta, mi ha raccontato che le grotte erano il ricovero degli animali, e che il  proprietario, Ferdinando Petrone, ormai morto da tempo, agricoltore e allevatore, preferiva fare la guardia egli stesso, di notte, alle sue bestie e custodiva i cavalli nella grotta dove c’erano tante “figure”, perché più sicura, avendo l’accesso dalla “torre” dove egli dormiva. Era un uomo meticoloso, Ferdinando, teneva particolarmente per i cavalli e per abbeverarli aveva predisposto alcuni “tauti”, i più grandi e i più belli. Ferdinando rispettava tutte le tradizioni di Vieste, e non mancava mai agli appuntamenti importanti. I suoi cavalli erano sempre i primi a schierarsi nella corsa del Palio di S. Giorgio, il 23 di aprile. Due mesi prima della   festa, esonerava dal lavoro dei campi il prediletto cavallo bianco, e lo affidava al suo garzonefantino, per l’allenamento e la preparazione alla competizione equestre. Nel ricordare queste vicende, Matteo Gentile si commuove, e con pudore aggiunge di aver portato a casa anche una vittoria. All’epoca – continua il mio interlocutore - tutte queste cose di storia delle figure non si sapevano. Adesso, però, queste cose di storia si sanno, e un nipote di Ferdinando, Matteo Petrone, detto Matteo Cavallo, subentrato, per eredità, nella proprietà del sito, si è preso l’impegno, da solo, di far conoscere al   pubblico le Grotte di S. Nicola. Dopo la fiaccolata augurale di un anno fa, con l’aiuto del sacerdote della vicina nuova chiesa del Gesù Buon Pastore, Matteo Cavallo, con fatica improba, sta sgombrando le grotte e il terreno circostante dal letame e da ogni sorta di immondizie, accumulate nell’ultimo ventennio di incuria totale. E sta portando avanti, disperatamente, a suo dire, una battaglia, per fermare il fronte edilizio a una giusta distanza dal sito. Nell’attesa che le solite 
Autorità competenti esaminino la possibilità di accordare alle Gotte di S. Nicola la dignità di sito archeologico, tutti possono recarsi sul posto e scoprire,  scoprire, per esempio, con la guida di Cavallo, che i “tauti” di cui parlava Gentile, sono i loculi della necropoli scavati nella roccia, e che le tante “figure” della grande grotta dei cavalli, si sono ridotte al negativo di un santo, sicuramente S. Nicola, sulla parete di sinistra, e, sulla parete frontale, a un braccio con mano e a due teste di donna, dal lungo collo alla Modigliani, di una bellezza unica e “piene di grazie”, per dirla con il titolo di un recente, fortunato libro di Vittorio Sgarbi. I colori di quel che resta dell’affresco, pur sbiaditi e aggrediti in più punti dalle macchie bianche della morte,  sopravvissuti ai secoli, ai pastori e ai cavalli, conservano, intatta, la grandezza e la spiritualità dell’arte. Questi due capolavori, e il negativo del santo, coevi, se non addirittura più antichi dei dipinti di Mottola e di Matera, possono essere ancora salvati con un’opera di restauro. Vieste, che è, oggi, un nome di riferimento nell’itinerario del turismo internazionale, ha il dovere di sapere queste cose di storia, per farle sapere agli altri, perché la storia, che è sempre attuale, fa la misura e la qualità della civiltà degli uomini. Giovanni Masi (da Logbook n.50 agosto 2015)