Il Gargano disse che

I dati sul turismo: segnali in uno strano giro di giostra


I dati sul turismo: segnali in uno strano giro di giostra
lunedì 07 settembre 2015 ore 15:08Secondo Trivago, l'aggregatore/comparatore dei siti di prenotazione alberghiera, fra le 12 principali destinazioni balneari, ben 11 hanno avuto un incremento di prezzo rispetto al 2014, l'incremento maggiore l'ha avuto Vieste. Com'è andata la stagione estiva? Domanda cruciale per chi si occupa di turismo e per chi, avveduto, pensa che il destino del settore influisca su quello del paese. Abbiamo una risposta? Serve un lungo giro di giostra, prima. Le impressioni di questi giorni sono eccellenti, dopo anni di difficoltà e di incertezze, e hanno finalmente un segno positivo. Ma quanto positivo? Nessuno lo sa; anzi nessuno lo può sapere e per ragioni che adesso provo a raccontare. Cominciamo il giro di giostra. Il primo punto, che non si riesce a scalfire in nessun modo, è confondere la sociologia con l'economia. Il fenomeno sociologico è la gente che si muove, o per piacere (la voglia di stare altrove) o per "dovere" (uffici chiusi da cui pur bisogna avere una conseguenza) e se poi il meteo ci mette del suo, tutto si trasforma in una fuga dalla città, preferibilmente verso il mare, e verso dovunque. Il fenomeno è tipico dell'Italia, perché non c'è riscontro in nessun altro paese dell'abbandono della città in agosto; ma quanto e come questo fenomeno sociale si trasformi in fatturato dell'industria dell'ospitalità non è dato sapere. E nessuno finora l'ha misurato. Ci sono i "conti-satellite" e le altre valutazioni sull'impatto del turismo, settore trasversale quant'altri mai, utili, ma non ci danno il dato che tutti dovremmo sapere: qual è il fatturato della nostra industria dell'ospitalità? Qualche numero a rendere il giro di giostra più semplice. Se teniamo conto che le camere alberghiere italiane (tutte, incluse anche quelle in posti dove nessuno passerebbe due o tre giorni in agosto) sono circa un milione, con una capienza massima di due milioni di posti-letto (odio conteggiare i posti-letto, perché nel mondo alberghiero si comprano e si vendono le camere, i posti-letto si conteggiano nelle caserme, negli ospedali e negli ostelli della gioventù). Allora, siccome gli Italiani che "fanno vacanze" nell'accezione sociologica sono circa 30 milioni (cifre ricavate da sondaggi con la tipica domanda Anni '60, "Lei farà vacanze quest'anno?", come se i viaggi fossero un'esclusiva di agosto...) e dato che sarebbero due le settimane, la domanda soddisfatta sarebbe al massimo di quattro milioni di persone, arrivando a sette-otto, se conteggiassimo anche il mese di luglio e a 10-12 milioni se la vacanza fosse ridotta a una settimana o poco più. Però bisognerebbe sottrarre le camere occupate dagli stranieri. E gli altri milioni di Italiani, non le migliaia, dove vanno? All'estero, si risponde. Ma se andassero tutti all'estero, avremmo una situazione incredibile, con la maggioranza che farebbe vacanze all'estero. Platealmente falso. Vanno, invece, oltre che nelle strutture extra-alberghiere, nelle seconde case per vacanze (ce ne sono 3,5 milioni secondo alcune stime, tenendo conto che in Italia ci sono circa 25 milioni di famiglie e quasi 30 milioni di case), oppure sono ospiti di parenti, amici e conoscenti addirittura nella "prima" casa. Tra l'altro, questa è la spiegazione per cui quando si fa un sondaggio le regioni del sud appaiono molto frequentate, poi si vedono i dati delle presenze alberghiere e... ritornano marginali. Come si può vedere, confondere il fenomeno del turismo che coinvolge oltre 30 milioni di persone, con il fatturato dell'industria dell'ospitalità, che coinvolge circa 33 mila strutture alberghiere e le micro offerte di soggiorno extra-alberghiero (escluse le case private) è davvero clamoroso. È evidente che il fatturato creato dal trasferirsi nella propria seconda abitazione per alcune settimane è un infinitesimo di quello che si avrebbe se i soggiorni fossero in albergo. Insomma fa una certa differenza, per l'economia, mangiare a casa propria o andare al ristorante. Un altro passo e ci spostiamo sul fatturato alberghiero. Anche in questo caso i dati che abbiamo a disposizione sono solo parzialmente soddisfacenti. Abbiamo i dati sugli arrivi e sulle presenze. Sono i dati che abbiamo tutti, su cui si fanno le strategie e si decreta il successo o l'insuccesso di una destinazione. Ebbene, gli arrivi sovrastimano strutturalmente la componente straniera (un americano che visita tre città si trasforma in tre arrivi di americani, interpretato dai più come se tre persone distinte siano giunte in Italia, ma è spesso la stessa persona che ha solo cambiato regione: dalla Toscana al Lazio e poi al Veneto). Per altro, siamo l'unico paese democratico dove chi arriva in albergo viene registrato dalla questura, mentre negli Stati Uniti, per dirne uno, non bisogna neppure presentare un documento d'identità (basta la carta di credito e nei motel neppure quella, a volte). Questa legge votata (non a caso) durante il regime fascista, rimane inalterata anche nel 2015. Insomma, gli arrivi sono poco significativi, mentre lo sono le presenze turistiche, cioè il numero di notti passate in albergo. È in sostanza l'unico dato che davvero ci dice qualcosa sull'andamento dei flussi turistici. È però un dato anagrafico, non economico. Se ho le presenze e non so qual è il prezzo pagato, non avrò mai il fatturato. È come se conteggiassimo la produzione industriale non in base al valore dei prodotti (come effettivamente si fa), ma in base al numero fisico dei beni. Sarebbe fuorviante, e infatti non lo si fa. Però nel turismo ci "accontentiamo" dell'anagrafe, cioè di contare le persone, non il valore economico. Ancora un altro giro. Il dramma è che ragioniamo ancora in termini censuari, cioè di contare tutti, quando per stabilire il segno della congiuntura non serve contare tutti, ma fare campioni statistici corretti (solo ogni dieci anni, in occasione del Censimento, veniamo contati tutti). Però nel turismo questo varco "epocale" di passare dal censimento perpetuo e velleitario alla stima economica, attende di essere compiuto. L'Istat ha una statistica campionaria sui viaggi degli italiani e una sui movimenti alberghieri, ma per quest'ultimi, per l'appunto, mancano i dati economici, solo anagrafe. Altro movimento. Non conosciamo neppure lontanamente l'indicatore principale dell'industria dell'ospitalità: il rendimento per camera, che è la misura della produttività del sistema alberghiero. Lo abbiamo per tutti i settori dell'economia, anzi diciamo a ogni occasione che l'Italia dovrebbe aumentare la sua produttività, ma per l'industria dell'ospitalità di conteggiarla non ci pensiamo neppure. Tanto si sa che il turismo non è una cosa seria... meglio aneddoti, fantasie e "one-man panel". Ultimo giro. Adesso c'è un'arma formidabile in più per conoscere gli effettivi comportamenti dei turisti, i big data. Quando tutto è digitalizzato, c'è traccia, addirittura in tempo reale, di ogni decisione dei consumatori. Possiamo teoricamente sapere quante volte è stato digitato il nome di una destinazione specifica e con quali percentuali di conversione in acquisto; possiamo sapere quante volte un albergo è stato "visto" e, naturalmente, quante volte comprato e da chi e con quali premesse, cioè sulla base di quali filtri (la localizzazione, il prezzo, ecc.); abbiamo in tempo reale il prezzo della camera per migliaia e migliaia di alberghi e possiamo fare un confronto con altri paesi e tra le singole destinazioni. L'obiezione: non tutti sono su internet, e non tutti acquistano su internet. Obiezione parziale, perché - senza citare i dati - è evidente che ogni anno il numero di persone che per orientarsi, scegliere e acquistare, passa su internet cresce vistosamente. È evidente che ci sia una tassonomia: la camera per una o due notti nelle grandi capitali passa in gran parte su internet; la settimana bianca passa poco; i viaggi di nozze ancora meno e le seconde case per nulla (con l'eccezione di Airbnb, ma dovremmo aprire un altro discorso). Sicuramente non ci forniscono ancora i dati del fatturato, ma sono segnali, non sono rumore, significano qualcosa. Veniamo allora ai segnali, non solo digitali, per capire l'andamento della stagione. Ben sapendo, en passant, che l'industria dell'ospitalità lavora 12 mesi all'anno e solo chi è fermo agli Anni '60 può far coincidere il mondo delle vacanze con il mondo delle ferie, o peggio del solo mese di agosto. In un mondo globalizzato poi... ma veniamo appunto ai segnali. • Stima del fenomeno sociale. Varie analisi concordano, attraverso sondaggi presso la popolazione italiana, relativi alle intenzioni o decisioni di viaggio, che nel 2015 l'aumento degli "Italiani che vanno in vacanza" è in crescita (abbiamo un ventaglio di dati, differenti nella misura, ma unanimi nel segno positivo). È perciò un bel segnale; • Si sa che buona parte del turismo balneare d'agosto viaggia su auto, allora vediamo il numero degli ingressi autostradali nella più grande aggregazione alberghiera del paese, la Riviera Romagnola: qui da maggio a luglio il numero delle auto, nei 10 caselli considerati, è cresciuto del 4,2%. Un altro bel segnale; • I prezzi. Si sa che sulle piattaforme di internet il prezzo di una camera alberghiera segue il mercato, perciò è un indicatore di congiuntura efficace, soprattutto quando è modificato in tempo reale. Secondo Trivago, l'aggregatore/comparatore dei siti di prenotazione alberghiera, fra le 12 principali destinazioni balneari, ben 11 hanno avuto un incremento di prezzo rispetto al 2014, l'incremento maggiore l'ha avuto Vieste, e per 6 destinazioni su 12 è stato a due cifre. Sempre Trivago, che ospita quasi 9mila alberghi nella sua piattaforma, indica che le destinazioni più ricercate in assoluto sono state quelle della Puglia e della Sardegna, il fatto che il desiderio (vorrei andare in un posto) e la realtà (dove vado effettivamente) non coincidano del tutto è motivo di riflessione; ma anche l'andamento dei prezzi è un segnale molto positivo. Sono tre segnali, uno si riferisce al fenomeno in generale della mobilità per ragioni di leisure; il secondo a un dato oggettivo sul movimento nella principale destinazione balneare del Paese e il terzo è uno scavo nella crescente rilevanza del mondo digitale. Tre segnali che convergono e che ci dicono che il segno è certamente cambiato. Ma di quanto? Non possiamo ricominciare il nostro giro di giostra, perciò accontentiamoci di questi e degli altri singoli e parziali segnali che possono ancora arricchire la conoscenza, aspettando che un giorno o l'altro potremo dire, con qualche esattezza, non solo com'è andato il turismo in agosto, ma com'è, quale consistenza abbia, che congiuntura attraversa e che fatturato abbia la nostra industria dell'ospitalità. Quel giorno sarà il momento in cui il turismo non sarà più marginale nel pensiero dei media e dei decisori. Quanto è lontano, quanto è vicino? Antonio Preiti Economista, Sociometrica, Censis L’Huffgton Post