Il Gargano disse che

“Italia e Italiani nei testi delle canzoni dagli anni ’80 a oggi” fondazione Giorgio Gaber - Foto di Luigi Ciminaghifondazione


“Italia e Italiani nei testi delle canzoni dagli anni ’80 a oggi” 
fondazione Giorgio Gaber - Foto di Luigi Ciminaghifondazione Giorgio Gaber - Foto di Luigi Ciminaghi  Di: Valentina Sapone    Roma – Scrivere canzoni per raccontare la propria identità nazionale, per esaltarla o criticarla: a volte un mezzo utile per far parlar più di sé, con testi leggeri e “populisti”, venati di patriottismo, altre volte frutto di un reale impegno politico e sociale. Se escludiamo i canti storici dei primi del Novecento, il tema “Italia” e “Italiani” compare nei testi di canzoni soprattutto negli ultimi quattro decenni. Questi testi offrono, con sincerità o con retorica – ma pure quella segno dei tempi – uno spaccato del modo in cui la fascia più ampia dell’opinione pubblica italiana ha percepito – e voluto condividere e comunicare attraverso la canzone – la propria identità nell’arco di circa trentacinque anni, di fronte agli eventi della storia.  Gli anni ‘80. Cosa succedeva in Italia:Ustica, la strage alla stazione di Bologna, l’uscita de“Il nome della Rosa”, il terremoto in Irpinia, la vittoria della Nazionale ai mondiali di Spagna, l’attentato a Giovanni Paolo II. Craxi presidente del Consiglio, l’addio a Enrico Berlinguer. Si diffondono i videogiochi, come Pac-mane Super Mario Bros; la tvtrasmette“Cacao Meravigliao”, “Il pranzo è servito”, “I ragazzi della IIIa C”.  Ad aprire il decennio, tra le canzoni che parlano della nostra nazione,“Viva L’Italia” di Francesco de Gregori, che mette in luce la forza del popolo italiano di fronte alle ingiurie della storia: si apre con il ricordo della Resistenza – quando l’Italia, che è ancora quella del valzer, è “derubata e colpita al cuore”, ma non si lascia sopraffare – e si chiude con il ricordo, più fresco, della strage di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969. È presentata come una nazione “nuda” ma con una grande forza di ripresa, che è insita nella sua popolazione che lavora, che “si dispera” e “s’innamora”, e che sa lasciarsi anche un po’ andare,consapevole che il proprio destino sia “metà dovere e metà fortuna”. Del 1982 il testo, in spagnolo, di “Oh, Italia” di Antonello Venditti. Introdotta da alcune critiche a gusti e atteggiamenti italiani, intavola presto temi politici e sociali, in una carrellata che però non la rende, di fatto, una canzone politica. Dal riferimento al mondo calcistico e all’abitudine di insultare gli arbitri, si passa ai riferimenti al terremoto dell’Irpinia del 1982, ai sequestri, numerosi in quegli anni – quelli dell’“Anonima sequestri” come quelli politici -per proseguire con molti altri temi – dalla disoccupazione, all’aborto, alle stragi di Stato –e concludere che “el pueblo che fa? Canta! Canta! Canta!”. Nei primi anni ’80 viene composta, da Rino Gaetano, “In Italia si sta male (si sta bene anziché no)”, inedita fino al 2007, quando fu presentata al festival di Sanremo dal comico Paolo Rossi. Vi si esaltal’autocompiacimento tutto italiano nei confronti di alcuni aspetti del nostro Paese (il mare, l’amore,…), in realtà solo stereotipi per giustificare il restare dei suoi cittadini nonostante tutti i problemi dai quali il Paese è afflitto. Del 1983 la famissima “L’Italiano”, di Toto Cotugno, emblema degli Italiani all’estero e ricca di “gratificanti” stereotipi: la passione per la musica e il canto, le donne compiacenti, l’arte, la buona tavola con il caffè ristretto, l’atmosfera accogliente della famiglia, con le sue tradizioni e i piccoli dettagli che fanno sentire a casa. Del 1987 è “Dolce Italia”, di Eugenio Finardi, dove l’Italia, un tempo contrapposta all’America per il calore del clima ambientale ma soprattutto umano, dove “la gente é più sincera, la vita é più vera”, nel presente è vittima di quella che sarà poi detta“globalizzazione”, che investe anche il modo di vivere e di comportarsi della gente (“ma poi tornati qui a Milano sembrano tutti Americani / vivono vite di sponda ciechi ai loro problemi”),incapace di apprezzare la bellezza dello stile di vita ereditato (“vorrei metterli su di un Jumbo e poi fargliela vedere / quell’America senza gioia, sempre in vendita come una troia”). Infine, dell’anno successivo, “Italia” di Mino Reitano. Del tutto in contrapposizione con la tematica espressa da Finardi, che avvertiva il cambiamento dei tempi e della mentalità, gli Italiani di Mino Reitano sono gli artefici della bellezza del Paese perché lo amano (“sempre bella e c’è un perché / questa gente le vuol bene / questa gente è come me”). Il testo è sfrenatamente patriottico (“di terra bella e uguale non ce n’è”; “forse il sole è nato qui”) e ricorre a topoi da inizi novecento (“contadina come me / ride e canta, è ballerina”) per offrire la descrizione di un’Italia da cartolina. Gli anni ‘90. Cosa succedeva in Italia: gli attentati a Falcone e Borsellino, lo scandalo Mani Pulite, l’inizio della Seconda Repubblica, la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, il “morbo della mucca pazza”. Migliaia di profughi in fuga dall’Albania e dal Kossovo raggiungono le nostre coste. L’Italia piange Lucio Battisti e Fabrizio De Andrè. Si diffondono il telefono cellulare e internet. Al cinema spopola Titanic.  “Italia d’oro” di Pierangelo Bertoli inaugura la denuncia delle ingiustizie e degli abusi di poteredi “casa nostra”, con toni aspri e senza nessuna concessione alla retorica e al sentimentalismo, piuttosto, con forti motivazioni politiche e sociali. L’Italia che descrive si identificacon i potenti, non con i cittadini comuni. Scrive infatti: “Italia (…) te ne sbatti di noi / màngiati quel che vuoi fin quando lo potrai”. Ma resta un’“Italia d’oro” perché, in fondo, è “frutto del lavoro”, e l’autore non cede alla disperazione perché spera “che l’ignoranza non la spunterà / che smetteremo di essere complici / che cambieremo chi deciderà”. Nello spettacolo “Tuttobenigni 95/96” il comico toscano presenta una canzone satirica diretta contro uno dei suoi principali bersagli, Silvio Berlusconi. La canzone, intitolata “Quando penso a Berlusconi”, contiene una carrellata di grandi nomi e di opere d’arte d’Italia, che Benigni contrappone, nella loro elevatezza, alla figura del magnate, da poco entrato in politica, Silvio Berlusconi. Esse fanno sentire Benigni fiero di essere italiano al punto da procurargli un piacere fisico… che tuttavia scema di fronte al pensiero di Berlusconi. Al festival di Sanremo del 1996 Elio e Le Storie Tese presentano il singolo “La terra dei cachi”, brano ironico e pungente nei confronti delle numerose storture e degli scandali dell’Italia di quegli anni: dalle piccole infrazioni, ai casi di malasanità, agli appalti truccati, alle tangenti, alle stragi impunite. Il quadro che ne viene fuori è quello di un’Italia amaramente priva di credibilità, appunto una “terra dei cachi”, dove, in mezzo a tanti problemi irrisolti, i cittadini si vantano di avere “un cuore grande cosi’”.  Del 1998 è “L’Italiana”, di Renato Zero, che torna, in modo più esplicito, sui motivi che, tra tante difficoltà, spingono gli Italiani a restare. L’Italia per lui è una madre, che tiene legati i suoi figli per “mistica attrazione”; il pensiero di lei però “non è più limpido / forse nostalgico” perché qui la democrazia si è fatta utopia. 2000-2015. Cosa succede in Italia: il G8 a Genova, l’introduzione dell’Euro, il cardinale Ratzinger eletto papa con il nome di Benedetto XVI, Giorgio Napolitano presidente della Repubblica. La Nazionale di calcio vince il mondiale in Germania, nasce e si diffonde Facebook, al cinema si proiettano il Signore degli Anelli e la saga di Harry Potter. Benedetto XVI annuncia dopo alcuni anni le sue dimissioni e viene eletto al suo posto l’argentino Bergoglio, Napolitano rivestirà invece a lungo il ruolo di Presidente della Repubblica. Milano ospita Expo 2015 ma si parla sempre più di crisi economica.  Gli ultimi quindici anni vedono l’inasprirsi del malcontento e della critica a causa di tutto ciò che l’Italia non sa offrire ai suoi abitanti, specie alle nuove generazioni che non si sentono rappresentate dalle classi dirigenti; la critica è aspraanche nei confronti dell’ignoranza e della superficialità degli Italiani:il brano “Meno male”, di Simone Cristicchi, offre, per esempio, il quadro di un’Italia volgare e ignorante, dove alla fine “vissero tutti felici e contenti / ma disinformati sui fatti”. Il tema “Italia e Italiani” diventa, in questi ultimi quindici anni, molto più affrontato che in passato, soprattutto nel mondo del rap, che ne fa bersaglio, legittimo, di denuncia. J-Ax, nel brano “Ribelle e basta” del 2015, arriva a dire “cara mamma Italia i tempi sono cambiati, / non contare su di me perché tu non mi calcolavi. / Io ti conosco e non ci credo che mi ami”. Già più di un decennio prima lo stesso J-Ax, ancora negli Articolo 31, cantava “l’Italiano medio”, delineando il quadro patetico di un Italiano medio succube di una televisione di basso livello, del gioco d’azzardo, degli status simbol e delle apparenze (“quest’anno ho avuto fame ma per due settimane / ho fatto il ricco a Porto Cervo. Che bello!). Fedez, rapper apparso più di recente sulla scena musicale, descrive l’Italia dei quarantenni di oggi come la “Generazione Bho”, che “soffre stress post-traumatico / da cellulare scarico” in un’Italia dove “un italiano su tre vive a casa dei genitori / il problema è che gli altri due sono i genitori”. Ironicamente critico del panorama italiano di corruzione e superficialità, anche Caparezza in“Il secondo secondo me”, del 2003, mentre toni più duri presenta la celebre “In Italia”, di Fabri Fibra, dove la critica è diretta soprattutto contro la presenza della malavita, oltre che contro i luoghi comuni sul Paese. Al di fuori del panorama del rap, l’indimenticabile “Io non mi sento italiano” di Giorgio Gaber, una sorta di lettera in musica indirizzata a un ipotetico presidente, per comunicargli di non sentire alcuna appartenza nazionale, in quanto “tranne Garibaldi / e altri eroi gloriosi / non vedo alcun motivo / per essere orgogliosi” e, contro ogni topos “questo bel Paese / pieno di poesia / ha tante pretese / ma nel nostro mondo occidentale / è la periferia!”. Vicino alla sensibilità popolare, ma senza alcuna speranza di riscatto, il brano“L’Italia”, presentato da Marco Masini al festival di Sanremo del 2009, mentre,più ricca di sfumature, “Buonanotteall’Italia”, di Luciano Ligabue, descrive un Paese isolato nel proprio mondo, con un piede nel passato e uno nel futuro, ma pur sempre una “bellezza senza navigatore”. Il brano “Italiani”, scritto da Eugenio Bennato per i 150 anni dell’Unità d’Italia, offre un quadro equilibrato di pregi e difetti tipici degli Italiani, ricorrendo volutamente ad alcuni stereotipi per farne una bandiera. Ne emerge un’immagine tutto sommato positiva, che cede un po’ all’autocompiacimento, ma giustificato dalla finalità stessa della stesura del testo. Del tutto contro-tendenza, infine, “Italia, amore mio”, presentata al festival di Sanremo del 2010 da Luca Canonici, Emanuele Filiberto e Pupo, la quale, piuttosto che dar spazio alla critica, prova a dar voce al senso di unità nazionale nel nome dei valori tradizionali, della libertà e dell’identità culturale e religiosa. Il nuovo millennio ha portato con sé, come si evidenzia nettamente, un rinnovato interesse delle nuove generazioni nei confronti del tema “Italia e Italiani”, segno, in molti casi, della volontà di utilizzare la musica come mezzo di espressione del proprio dissenso. È pressoché scomparsa ogni forma di retorica e di luogo comune, mentre, a farsi strada, è la rabbia e la volontà di denuncia, soprattutto da parte delle generazioni dei ventenni e dei trentenni, dimenticate e private del proprio futuro perché fuori dalle logiche di potere del presente. Va osservato, inoltre, che per quanto si critichi, nei testi, la superficialità di una società legata alle apparenze e alla televisione, a permearli sono soprattutto gli eventidi gossip, usati per sostenere, come esempi, la critica condotta, mentre sono meno affrontati, rispetto al passato, temi di rilevanza nazionale e mondiale.  Nel complesso, dai testi di queste canzoni, emerge l’aumento della sfiducia collettiva nei confronti della politica, della classe dirigente e, a volte, delle generazioni precedenti, colpevolizzate, in modo esplicito o meno, della situazione di crisi del presente. Nei testi degli ultimi anni emergono pochissime speranze di cambiamento, ogni possibile azione sembra inutile, e l’unico mezzo che si ha per non essere parte di ciò che si riconosce come marcio è prenderne le distanze criticandolo. Non si può non vedere un riflesso di questo atteggiamento nei numeri in calo delle affluenze alle urne e nel minor interesse che si registra, rispetto al passato, per la politica. (A cura di Valentina Sapone – valentina_sapone@libero.it)