Il Gargano disse che

“Il rilancio del Sud che passa attraverso una nuova visione dei parchi nazionali” Michele Eugenio Di Carlo


“Il rilancio del Sud che passa attraverso una nuova visione dei parchi nazionali” 
Michele Eugenio Di Carlo (ST - IMMAGINE D'ARCHIVIO)  Di: Redazione    Bari. L’imminente nuova nomina ministeriale del presidente del Parco Nazionale del Gargano, ha sollecitato le comunità garganiche ad intervenire nel dibattito aperto da un gruppo di giovani del territorio, dietro la sigla «Un manifesto per il Parco». Un confronto che ha messo in discussione la gestione complessiva dell’area parco e la sua classe politica che, nei 20 anni di vita del Parco, non è stata in grado di proporre una stagione di sviluppo reale nel segno della qualità e dell’eccellenza, del rispetto dell’uomo e della natura. Anche quando alcuni canali della cittadinanza e della società civile sono stati attivati, la sinergia tra questi e il Parco, i Sindaci, le istituzioni, è risultata poco fruttuosa, indiretta e, spesso, strumentale. Troppo spesso la tutela e la conservazione dell’ambiente sono state intese come un vincolo più che come un’occasione di sviluppo. In sostanza, anche negli ultimi decenni si è continuato a ricalcare il modello del «miracolo economico» degli anni Sessanta che, se da un lato ha avuto il merito di ridurre il divario economico tra Nord e Sud, dall’altro ha prodotto strutture edilizie e produttive di pessimo gusto – in nome di un processo di sviluppo effimero e temporaneo – devastando le tracce storiche di un paesaggio naturale e materiale a volte millenario. Rilanciare il turismo salvaguardando l’ambiente, significava impegnarsi al fine di attivare gli itinerari della storia, della religione, della cultura, i sentieri dell’anima e del gusto, che in altri tempi hanno attratto poeti, scrittori, fotografi e giornalisti di fama, viandanti colti, mossi dalla letteratura e dall’archeologia, dalla botanica e dall’entomologia, dall’aroma dell’olio e dal profumo delle zagare, dallo spirito dei luoghi in stagioni non balneari. Quale migliore strumento allora di un Parco letterario – infranto lungo le frastagliate scogliere della fredda insensibilità burocratica – proposto dal compianto Filippo Fiorentino? Ecco perché oggi, illustri urbanisti, nei loro progetti di riqualificazione – come ha ricordato qualche giorno fa dalle pagine del Quotidiano l’Attacco lo storico garganico Giuseppe Piemontese – parlano di «rigenerazione dei centri storici». Sono, anche queste, tematiche che vanno affrontate con una sinergia d’intenti comune a Parco, sindaci, associazioni e cittadini. Se non si invertirà da subito la rotta, nel giro di 30-40 anni, avremo distrutto completamente le fragili tracce dei sentieri dell’anima e quelle, altrettanto gracili, della nostra cultura identitaria. Ecco perché cittadini consapevoli e associazioni non possono più assistere impassibili alla mancanza di idee, di competenze e di progettualità di enti di indirizzo e di governo. Su questa questione, il circolo FestambienteSud di Legambiente, di cui è presidente Franco Salcuni, ha chiarito che «occorre cambiare passo e riportare il Parco nazionale fuori dalla portata del provincialismo della politica locale, in gran parte schierata nel passato contro il Parco e che oggi si è stabilmente insediata al suo interno, facendo con più efficacia da dentro quello che prima non riusciva a fare da fuori: annullare la portata di un progetto che da motore di conservazione di valori e creatore di nuovi valori, anche economici, è diventato uno sgabello delle dinamiche della politica locale». Dagli anni Novanta, cioè da quando è stato istituito il Parco (non quindi da quando l’avv. Stefano Pecorella ne è diventato presidente), il territorio ha continuato a subire una vera e propria aggressione in nome di uno sviluppo che è stato gestito male e che non è risultato affatto sostenibile. L’ultima grande “operazione di cementificazione”, la famosa Legge Regionale n. 3 del 1998, ha dimostrato tutti i suoi limiti e ha dispiegato tutti i suoi effetti negativi nei comuni laddove è stata applicata. La Legge 3 non ha prodotto la destagionalizzazione sperata, non ha migliorato i livelli occupazionali, ha determinato la cementificazione della costa, ha usufruito in pochi anni di una volumetria non adeguata al contesto ambientale e paesaggistico. L’immobilizzazione di capitali, non sempre fruttiferi, e il ricorso al prestito, hanno mandato in crisi parte dell’imprenditoria locale con riflessi negativi sugli aspetti qualitativi e quantitativi del lavoro dipendente stagionale. L’utilizzazione sfrenata di capitali nel comparto edile ha sottratto capitali necessari a creare attività produttive e livelli occupazionali stabili e distribuiti nell’arco di tutto l’anno. E da questo ad una situazione diventata insostenibile a livello di legalità il passo è stato breve e la degenerazione del tessuto sociale evidente.  Dov’è il ruolo positivo che i Sindaci hanno espresso nei 20 anni del Parco? E’ questa la domanda posta dal giornalista Michele Angelicchio, in una lettera pubblicata sul Quotidiano l’Attacco. Chi avrebbe potuto impedire loro di discutere dei temi reali del territorio: dalle politiche urbanistiche riferibili all’eccessiva cementificazione della costa, al consumo del suolo, alla gestione dei rifiuti urbani, alla difesa delle aree costiere, alla tutela dei centri storici? Che i nuovi sindaci lancino segnali di una nuova visione – tutta da verificare – delle politiche ambientali è, in assoluto, un fatto altamente positivo. E’ fortemente auspicabile che nel concetto di riqualificazione si intenda anche la costa, con chiaro riferimento alla ricostituzione delle dune, che non potrà che avvenire mediante la riqualificazione sostenibile delle strutture in un processo temporale lungo decenni; una questione, questa, sulla quale ha sempre prevalso la strategia del silenzio, nonostante i demani costieri siano quasi sempre un patrimonio pubblico e indisponibile. Un progetto di raccolta differenziata a «rifiuti zero», comune a tutta l’area garganica, non può più essere rinviato: un rifiuto non è solo la misura del fallimento di un sistema produttivo, è anche il segno di politiche ambientali condotte senza metodo, con superficialità, che non tengono conto della tutela ambientale, dello sviluppo etico, della salvaguardia della salute pubblica. Il Gargano deve necessariamente attuare, nell’ambito di una strategia unitaria dei suoi comuni, un sistema efficace di raccolta differenziata, riorganizzando totalmente il servizio e mettendo in atto la raccolta domiciliare porta a porta, dando agli utenti tutti gli strumenti utili per realizzarla, investendo in una capillare campagna di sensibilizzazione, di partecipazione e d’informazione. Così come l’avvio di una seria politica che dica basta al consumo del suolo non è più dilazionabile. Siamo arrivati al capolinea: la natura, la terra, l’acqua, l’aria non sono risorse infinite. Il nostro patrimonio paesaggistico, fonte primaria delle nostre attività economiche, rischia di essere compromesso per sempre; i nostri beni storici e archeologici sono ignorati e abbandonati, la nostra agricoltura è diventata del tutto marginale come le identità culturali e gli aspetti peculiari del territorio. Bisogna avere il coraggio di dire basta al consumo di territorio. Un consumo di territorio che, anche da noi, ha prodotto l’abbandono dei centri storici e la creazione di estese periferie urbane, prive di servizi, veri quartieri dormitorio che hanno tolto spazio alla concreta possibilità di svolgere vita sociale. Bisogna affidare lo sviluppo del Gargano a una politica urbanistica volta al risparmio di suolo, indirizzando il comparto edile verso la ricostruzione, la ristrutturazione, la riqualificazione estetica e funzionale del patrimonio edilizio esistente, anche attraverso le tecniche innovative della bio-edilizia. Rendere poi concreto un Distretto biologico , imprimendo un ulteriore marchio di qualità a un territorio già ricchissimo di beni materiali e immateriali, significa valorizzare e promuovere il nostro patrimonio paesaggistico, naturale, ambientale, qualificando meglio l’offerta turistica, mettendo virtuosamente in circolo le risorse, le tradizioni, le tipicità. Si dice – mentre si riaffaccia pericolosa l’ipotesi di gigantesche pale eoliche nel Golfo di Manfredonia – che i cittadini attivi e le associazioni abbiamo bloccato le risorse energetiche derivabili dagli impianti eolici off-shore nel mare garganico, in realtà hanno anche proposto la costituzione di un Consorzio territoriale garganico per la gestione diretta del business dell’eolico, ai fini dello studio, dell’installazione e della gestione in proprio anche di altre fonti di energie alternative con ricadute economiche esclusivamente a vantaggio della comunità e delle popolazioni locali. Un consorzio territoriale che avrebbe dovuto vedere al tavolo – mai aperto – delle decisioni da condividere, le associazioni ambientaliste, il mondo della cultura e la cittadinanza attiva, affinché lo sviluppo sostenibile legato alle fonti alternative fosse gestito con oculatezza e nel rispetto del territorio e dell’ambiente, non “terra di conquista” di società multinazionali. Il territorio garganico ha delle eccellenze e delle grandi competenze, tenute finora quasi sempre ai margini della gestione del Parco. Costituiscono una risorsa umana che non può più essere messa sul mercato migratorio del nord Italia e dei paesi esteri. L’esportazione di cervelli, causata da politiche scellerate dall’unità d’Italia in poi, deve essere fermata, innanzitutto con politiche di sviluppo che vedano questi giovani protagonisti. Bisogna legare queste intelligenze al nostro territorio, impegnandole seriamente nello sviluppo delle tematiche che per anni sono state vanamente indicate e che, oggi, sono riproposte dalla cittadinanza attiva. (Vieste, 14 febbraio 2017 – A cura di Michele Eugenio Di Carlo)