Il Gargano disse che

L’Università sipontina nel ‘700 – La carestia ed epidemia del 1763-64 in Capitanata


L’Università sipontina nel ‘700 – La carestia ed epidemia del 1763-64 in Capitanata 
PH MATTEO NUZZIELLO - MANFREDONIA  Di: Redazione    Manfredonia. Sulla carestia e la epidemia che hanno dominato sul regno di Napoli nel periodo 1763-1764 abbiamo un importante saggio della Da Molin, dello stesso titolo; ma prima di analizzarlo ci pare opportuno riportare quanto ne scrive a proposito lo Spinelli. Intanto correva dell’ Era nostra Cristiana l’anno 1761, tempo in cui la nostra moderna Siponto, la Puglia, e tutto il Regno di Napoli, per la mancanza delle acque, che per lungo tempo non caddero dal Cielo in tutte le Campagne si soffrirono de’ gravi danni da rammentarsi per Secoli, come si avviserà. E, a causa di questa siccità, nel 1764, si ha una grave carestia in tutta Italia. Intanto correva l’anno 1764, anno purtroppo memorabile nell’Italia, mentre atteso la mancanza delle acque, che non caddero sulla Terra nell’ anno 1761, come si è avvisato, crebbe a tal segno la mancanza de’ Formenti, che cagionò in quest’ anno una gran carestia per tutta l’ Italia. Non vi fù Regno, e Stato, che provata noll’ avesse. In Roma specialmente, l’ avarizia del cardinal Rezzonico Cammerlengo Nipote del Papa unitamente con altri Cardinali, e Prepotenti Chiesiastici, per la mancanza del pane fè morir di fame più migliaja di quel Popolo, vieppiù, che vendendosi in forma di pane il gesso impastato in qualche poco di farina. All’ ora fù, che fingendosi da un tal Cardinale la importante necessità di Roma, persuase il zio Papa a prendere i cinque milioni, che dal Pontefice Sisto V furon depositati nel Castello Sant’ Angelo, quantunque niun provediimento appartenente alla Carestia si diede. Nel nostro Regno si assaggiò anche un tal male in modo, che in Napoli vendevasi il pane per cancello. Molti Popoli di altre Provincie vennero a caravane nella nostra moderna Siponto, ove non si soffriva una manifesta penuria, ed essi si adattavano alla fatiga per il solo desiderio, che avevano d’ assaggiare un tozzo di pane.  I Montanari vennero quasi tutti uniti nella nostra Città guidati da D. Michele Spirito Prete Colleggiato di S. Michele con grida, e pianti per rifocillarsi di pane, a’ quali si diede ajuto provedendoli di pane, e di grano; Solamente la nostra moderna Siponto frà tutte le Città, e Terre della nostra Provincia si vantò in tale occasione, d’ esser Madre di tutti, perchè trovossi proveduta di una ben grossa annona, ed impedì a’ Mercadanti di estrarre nemmeno un granello di Formento da’ Magazzini, e dalle Fosse del Piano, percui si fece un consumo grandissimo di grano, stante si amministrava del pane ad ogni ora alla Terra di Montesant’ Angelo, a’ Vestani, Vicajoli, Rodiani, in San Giovanni Rotondo, in San Marco in Lamis, e fin’ anche in Bariletta, oltre le grandi Popolazioni di altri luoghi, che eransi fermate nella nostra Città, e mangiavano l’ istesso pane, percui in tal’ anno si consumò di sola annona in cinque mesi carra 760, quandocchè il solito della nostra annona appena scende annualmente a carra 180. Nella nostra Provincia molte Case divennero ricchissime, e specialmente quelle de’ Massari di Campo, e de’ Negozianti, perchè vendettero il grano insino alla somma di duc. 10 il Tomolo. A cagione di tal Carestia vi fù gran mortalità di gente dapertutto, eccetto nella nostra Città, percui in qualche parte si intese un principio di Peste, sebbene subito disparve. Per la Da Molin, nel 1764, l’anno della fame, la mortalità toccò punte catastrofiche sia a Napoli che in tutte le provincie del Regno. Il Tanucci nell’agosto del ‘64 parlava di trecentomila morti nel Regno e nel settembre di centomila morti a Napoli. Secondo stime più recenti, i morti per la fame e l’epidemia non dovettero essere lontani dai duecentomila. La crisi ebbe profonde ripercussioni demografiche perchè alla mancanza di mezzi di sussistenza si associò una recrudescenza delle malattie endemiche a carattere stagionale. La carestia in effetti, in tutto il Regno, ebbe termine verso maggio del 1764 ma fu seguita dall’epidemia che trovò facile preda in una popolazione provata dalla fame Il saggio della Da Molin si concentra soprattutto sulla Capitanata, per cui l’alta mortalità del 1764,…non è un fenomeno isolato, ma è lo stadio terminale di una crisi che la investe già dagli anni ‘50 e che si accentua a partire dal 1760….La crisi del ‘60-64 fu una delle più gravi tra quelle che colpirono la Capitanata nell’arco del Settecento. E’ significativo che per tutti i centri esaminati questo quinquennio sia di netta involuzione e si chiuda in forte passivo. Il saldo nel movimento naturale della popolazione risulta per Manfredonia di – 305, per Orsara di -320, per Serracapriola di – 279, per Foggia di – 1280, per San Severo di – 1014. Meno toccato dalla crisi – continua la Da Molin – quanto ad intensità risulta il Gargano, che ha una utilizzazione della terra diversa del Tavoliere con un assetto cerealicolo meno esteso. Nei centri campione di questa zona, Sannicandro Garganico, Monte S. Angelo, Manfredonia, la crisi è accettabile, infatti si verifica un aumento del fenomeno ma contenuto rispetto alle punte di mortalità del Tavoliere…La mortalità in questa zona non toccò punte molto alte perchè alla carestia non si associò l’epidemia. Nel caso di Manfredonia non si riscontra nessun rialzo sostanziale nella primavera-estate 1764….Certo la fame si fece sentire ma la mancanza di frumento poté essere sopperita con altri generi di prima necessità. La Da Molin riporta, altresì. dei quadri descrittivi della distribuzione mensile dei decessi del 1763-64, per molti comuni, tra cui Sannicandro (abitanti 6.340), Monte S.Angelo (abitanti 5.813) e Manfredonia (abitanti 4.502) e, nello stesso tempo, riporta pure il numero di sepolture dal 1756 al 1770, con indice del quinquennio 1751-1755 in alcuni centri di Capitanata, tra cui Manfredonia. E sempre per gli indici di mortalità vengono poste in risalto le differenziazioni di sesso, di età, stato civile, di provenienza, ecc.  E qui appresso riportiamo il contenuto della lettera, dell’8 luglio 1764, scritta da Gregorio Accinni all’ abate Turco di S. Severo, nella quale, tra l’altro, si parla proprio de …le infermità mortali (fanno) stragge in codesta città (Monte S.Angelo), non meno che in quelle di Lucera, e Foggia. Monte S. Angelo 8 luglio 1764. Stiimatissimo Padre Procuratore sono ben tenuto alla P.S.M.R per la viva memoria, che conserva di me, onde ne le rende distintissime grazie. Il passaggio del fu Vicario Indelli da questa a miglior vita mi ha estremamente rincresciuto sì perché mi era Padriotto, com’anche regnavano in lui tutte le prerogative di un ottimo, ed esemplare Religioso; Ma coneche il Signore Iddio ha così disposto è d’uopo perciò uniformarmi al di lui Santo Volere. Le infermità mortali, che costì corrono devono veramente temersi, per il qual effetto soglo io la determinazione di codesto nostro R.mo Coabate di portarsi al Casino di S.Giovanni con Ella, ed altri PP. necessarij all’azienda, affinché possa sfuggire l’occasione del vicino male, che sento faccia stragge in codesta città, non meno, che in quelle di Lucera, e Foggia. Avrò avanti gl’occhi la sua commendatizia relativa alla Persona di questo P. Primicerio, quale riguardato con quell’amore, che son solito avere per quei, che si portano bene, e religiosamente vivono, siccome rimango molto soddisfatto di questo P. Tresca suo adottato figlio. Ciò è quanto mi occorre dirle in risposta dell’ultima sua genti-lissima. Si abbia cura di sua salute. Mi comnandi a quel che debolmente posso, e vaglio, tenici saluti a codesto P. priore Valletta, suo Fratello, e F. Mauro: cordialmente abboligato la passo a rassegnarmi./ D.V.P.M.R./ Devotissimo Servo Obl.mo d.i/ Gregorio Accinni. porta l’abito a coda.// Il vino fresco è buono…la pancia arrotonda,/ e non occorre mettere la frasca,/ Al Priore la bisaccia/ gli metterei,/ perché si…scacazza.// Mi meraviglio di tanti assessori,/ del passato…gente di cultura./ Se allora gli chiedevi: “dobbiamo fare?”/ Alla latino dicevano: “cras…domani!”/ Me ne voglio andare macera macera (muro a secco),/ per trovare un bel…fiore./ Se lo trovo ed è…un assessore,/ non lo colgo, non ci credo, non è vero!” (A cura di Pasquale Ognissanti, Manfredonia 22.02.2017)