Il Gargano disse che

Manfredonia, “Il borghese gentiluomo” di Solfrizzi tra ritmo e stanchezza


Manfredonia, “Il borghese gentiluomo” di Solfrizzi tra ritmo e stanchezza Di contro il finale appare troppo affrettato 
Solfrizzi (IMMAGINE D'ARCHIVIO)  Di: Redazione    610000Manfredonia. Si è chiusa con il tutto esaurito Io Esco, la stagione di Prosa 2016-2017 del Teatro Comunale Lucio Dalla. In scena un grande classico: Il borghese gentiluomo di Moliere diretto da Armando Pugliese ed interpretato da Emilio Solfrizzi, attore pugliese fra i più noti ed amati in Italia. Con lui Anita Bartolucci ed i giovani interpreti Viviana Altieri, Fabrizio Conti, Cristiano Dessì, Lisa Galantini, Lydia Giordano, Simone Luglio, Elisabetta Mandalari, Roberto Turchetta. Il borghese gentiluomo è oggi come nel 1670, epoca della prima messa in scena, l’emblema del sogno infranto di poter cambiare la propria natura più intima, diventando ciò che non si è, ma per moda e convenienza, più che per autentica vocazione, si vorrebbe essere. Il signor Jourdain, borghese arricchito grazie ai proventi del commercio, sogna di poter diventare un gentiluomo spendendo il suo denaro in abiti costosi e stravaganti o in lezioni di musica, danza, scherma e filosofia, occupazioni nobili per antonomasia. Tuttavia i suoi restano, appunto, solo abiti e occupazioni estemporanee di un uomo che in sostanza resta gretto e privo di qualsiasi traccia di buongusto e talento. Lo sanno bene i suoi maestri d’arte: il filosofo che, dopo aver proposto vari argomenti, cattura l’attenzione di Jourdain solo insegnandogli la pronuncia delle vocali, i musici e i danzatori di carmi bucolici da lui giudicati sempre “troppo cupi”, che però compensano il loro desiderio di maggior gloria con una lauta paga. E qualora non dovesse essere sufficiente, basta rivolgersi a Jourdain con appellativi come “Sua Signoria” e “Sua Eccellenza” per ottenere mance extra. Jourdain ama crogiolarsi in questo stuolo di finti adulatori di cui solo lui sembra non capire la cattiva fede, e come in ogni satira che si rispetti da questo mondo falso, specchio delle sue stesse debolezze, sarà fagocitato. Rifiuta di concedere la mano di sua figlia Lucilla a Cleonte, il giovane da lei amato, in quanto privo di sangue nobile, ma cambierà subito idea quando lui, presentandosi in sontuosi abiti orientali, si spaccerà per il “figlio del Gran Turco” e rivelerà a Jourdain che suo padre non era un commerciante, ma “un gentiluomo che cedeva le sue cose ad altri gentiluomini per denaro”. Il finale ci propone la sontuosa cerimonia turca del matrimonio di Lucilla, in cui Jourdain, ingannato e contento, viene investito del fantomatico titolo nobiliare di Mamagusciù. Il personaggio di Jourdain appare cucito addosso ad Emilio Solfrizzi, che già altre volte (ad esempio nel celebre film Selvaggi) si è cimentato nel ruolo del ragazzotto mediocre, tutto chiacchiere apparenza e presunzione, che cerca disperatamente di “darsi un tono”. La sua è un’interpretazione fatta di voce, ma soprattutto di corpo e mimica. L’ingenuità e l’ inconsapevole goffaggine di Jourdain coinvolgono lo spettatore e nel contrasto con gli scaltri maestri, la razionale signora Jourdain, e il ruffiano conte Dorante, strappano diverse risate. Gli intermezzi cantati e ballati (il borghese gentiluomo è infatti una comedie-ballet) diversificano e alleggeriscono lo spettacolo. Ciò non toglie che esso manchi a tratti di ritmo e accusi diversi momenti di stanchezza. Di contro il finale appare troppo affrettato, manca forse quel pizzico di riflessione ad esplicitare che Jourdain sarà per sempre un borghese gentiluomo e mai un gentiluomo. (A cura di Annapina Rinaldi, Manfredonia 26.03.2017)